Con l’avvicinarsi del periodo natalizio è molto probabile iniziare a vedere le luci di Natale. Negli ultimi anni le luci LED hanno subito una forte diffusione per via della loro efficienza e del minor consumo energetico. Ma come sono fatte e come funzionano queste luci?
Durante le festività natalizie, le città si illuminano di mille colori grazie agli addobbi e alle luci LED. Oggigiorno, tuttavia, i LED non si trovano solo nelle luci di Natale, bensì anche nelle comuni lampadine. Le luci LED, infatti, hanno importanti vantaggi rispetto alle tradizionali lampadine a incandescenza, come una maggior durata (fino a 100 volte in più) ed una maggior efficienza energetica (richiedono meno energia a parità di luce emessa).
I semiconduttori delle luci LED
Come ha luogo l’emissione dei fotoni? Cominciamo dalle basi fondamentali. I LED vengono realizzati impiegando principalmente materiali semiconduttori, ovvero materiali in grado di condurre elettricamente in certe condizioni e in grado di comportarsi da isolanti elettrici in altre determinate condizioni. Come si discuterà in seguito, i semiconduttori utilizzati nei LED sono di differente tipologia.
Tuttavia, i semiconduttori più frequenti sono quelli a base di gallio. Questi semiconduttori vengono poi “drogati”, ovvero si inseriscono al loro interno altri e nuovi elementi della tavola periodica, diversi da quello del semiconduttore stesso, così da modificarne tutte le proprietà. Tra gli elementi droganti più diffusi nel campo dei LED a base gallio vi sono l’azoto e il fosforo, i quali permettono di ottenere rispettivamente il nitruro di gallio e il fosfuro di gallio.
In funzione di come si esegue il drogaggio si ottengono due diverse tipologie di semiconduttori: semiconduttori di tipo p e semiconduttori di tipo n. I primi sono caratterizzati da un’insufficienza di elettroni (leggasi un eccesso di “lacune elettroniche”); viceversa; i secondi sono caratterizzati da un’eccesso di elettroni. Invece, con il termine lacune elettroniche si intendono posizioni in cui un elettrone potrebbe esser presente, seppur non lo sia.
I LED sono realizzati mediante l’accoppiamento di un semiconduttore di tipo p con un semiconduttore di tipo n. Applicando una corrente al LED, gli elettroni dello strato n tenderanno a muoversi verso le lacune dello strato p. Quindi, in seguito alla combinazione, si avrà un rilascio di energia sotto forma di radiazione luminosa, ovvero ciò che effettivamente possiamo osservare.
I colori dei LED
Per spiegare i diversi colori che si possono ottenere con le luci LED è necessario scendere nel dettaglio della chimica di ciò che sta alla base del loro funzionamento, ovvero i semiconduttori. Come si è detto in precedenza, i semiconduttori sono drogati con altri elementi della tavola periodica. Il drogaggio permette di modificare alcune proprietà dei semiconduttori, tra cui il band gap, ovvero la differenza di energia tra la banda di valenza e la banda di conduzione.
Nel caso dei LED in esame, il band gap di interesse è quello tra lo strato n e lo strato p. In accordo con la Legge di Planck, maggiore è l’energia (ovverosia maggiore è il band gap), maggiore sarà la frequenza della radiazione emessa, ovvero minore sarà la sua lunghezza d’onda. Pertanto, per LED di colore rosso sarà necessario un band gap piccolo; viceversa, per LED di colore blu si necessita di un band gap elevato.
Per svolgere un breve ripasso, la differenza fondamentale tra banda di valenza e banda di conduzione è quello la banda di valenza esiste al di sotto del livello di Fermi mentre la banda di conduzione esiste al di sopra del livello di Fermi.
La banda di valenza e la banda di conduzione sono le più vicine al livello di Fermi. Queste bande determinano così la conduttività elettrica dei materiali solidi. Il potenziale chimico a livello di Fermi per gli elettroni di un corpo è il lavoro termodinamico richiesto per aggiungere un elettrone al corpo.
Nel caso dei LED, il band gap di interesse è quello tra lo strato n e lo strato p. In accordo con la Legge di Planck, maggiore è l’energia (leggasi maggiore è il band gap), maggiore sarà la frequenza della radiazione emessa, ovvero minore sarà la sua lunghezza d’onda. Pertanto, per LED di colore rosso sarà necessario un band gap piccolo; viceversa, per LED di colore blu si necessita di un band gap elevato.
Il problema di alcuni LED
Qui sorge però un problema. Infatti, mentre la produzione di LED con piccolo band gap non si è rilevata poi così problematica; al contrario, molto complicata è stata la produzione di LED con band gap elevato, ovvero in grado di emettere luce nella regione dei colori blu dello spettro del visibile.
La necessità di poter disporre di LED blu era molto sentita dalla comunità scientifica, e non solo. Infatti, in accordo con la tecnica della sintesi additiva dei colori (normalmente impiegata in gran parte dei display dei dispositivi elettronici), al fine di poter ricreare la luce bianca si necessita di luce rossa, verde e blu.
Inoltre, l’occhio può essere soggetto sia a danni retinici che a carico del cristallino (cataratta) che possono essere di natura termica o fotochimica. Il danno termico è determinato da un aumento della temperatura dell’area retinica irradiata, dovuto ad elevati livelli di potenza della radiazione luminosa per tempi d’esposizione anche molto brevi. Il danno fotochimico, invece, si verifica in assenza di un aumento della temperatura della zona retinica irradiata, con bassi livelli di potenza della radiazione luminosa anche a seguito di esposizioni di più lunga durata (minuti).
Il problema venne risolto nei primi anni ’90, quando tre scienziati, ovvero Isamu Akasaki, Hiroshi Amano e Shuji Nakamura, riuscirono a produrre dei LED blu efficienti con semiconduttori a base di nitruro di gallio. Per tale invenzione, i tre scienziati in questione vennero poi onorati del premio Nobel per la fisica nel vicino 2014.