Le 4 opere letterarie più strane e divertenti che forse non conosci

In molte opere letterarie è presente una raffinata ironia, un intento burlesco non sempre del tutto dichiarato, la voglia di leggerezza e il gusto per la comicità. In alcune più di altre queste tendenze si sommano e danno vita a componimenti particolari e curiosi.

È nell’abilità e nell’ampia cultura dell’autore che risiede il segreto per la realizzazione di opere che deridono non sfacciatamente e grossolanamente ma con garbo, suscitando un sorriso consapevole. Eccone alcune fra le meno conosciute e più strane.

1. Seneca nell’Apokolokýntosis narra la deificazione di una zucca

L’Apokolokýntosis, altrimenti noto come Ludus de morte Claudii, è una satira menippea, misto di prosa e versi, composta dal poeta e filosofo latino Seneca. Il termine deriva dall’unione di “apothéosis”, cioè l’onore della deificazione riservato dal Senato agli imperatori defunti, e “kolokýnthe” che significa “zucca”, equivalente colorito di “persona stupida”. Il protagonista è l’imperatore Claudio, odiato dal ceto senatorio per il suo favoreggiare i liberti e da Seneca stesso per essere stato da lui condannato all’esilio. La parodia del processo di divinizzazione inizia con la notizia della morte ingloriosa dell’imperatore a causa di una scarica di diarrea. Successivamente sale all’Olimpo per essere accolto fra gli dei, increduli e spiazzati di fronte a quest’ultimo, descritto quasi come un mostro deforme, zoppo e incapace per via della balbuzie di presentarsi e farsi comprendere. Viene addirittura mandato Ercole, convinto di doverlo fronteggiare, ad accoglierlo, il quale lo scorta alla presenza delle divinità. Augusto, ormai dio, lo denigra e i numi si rifiutano di accettarlo fra loro. Viene spedito agli Inferi dove è aggredito dalle sue vittime e infine lui, l’imperatore, finisce per essere schiavo di un suo liberto per l’eternità.

“La morte di Seneca” di Pieter Paul Rubens

2. Il “Morgante” di Luigi Pulci

Un poema eroico non molto conosciuto ma estremamente caratterizzato dall’irriverenza e da uno spirito burlesco è il “Morgante” di Luigi Pulci, la cui prima edizione risale al 1478. L’opera, organizzata in ottave, riprende le leggende del ciclo carolingio e narra le vicende del paladino Orlando, del suo scudiero Morgante e di Margutte. Gli ultimi due sono appunto i personaggi più comici del poema, Morgante è un gigante fedele e ingenuo, mentre Margutte è un mezzo gigante, nonché un furfante molto scaltro. Al loro primo incontro il mezzo gigante si presenta in tutta la sua stranezza e pronuncia una rivisitazione empia del Credo cristiano, un inno alla materialità, dando così spazio ad un ribaltamento dissacrante e provocatorio dei valori dell’epoca dell’autore. La vena umoristica si dipana in tutte le stravaganti e vivaci avventure dei protagonisti ma soprattutto, nella morte ridicola dei due giganti. Morgante, tanto imponente, muore a causa del morso di un minuscolo granchio e Margutte, tanto astuto e avvezzo a orientarsi  fra gli inganni del mondo, muore per un attacco di risa, provocato dalla visione di una scimmia che giocava ad indossare i suoi stivali.

3. La poesia maccheronica

Teofilo Folengo (1491-1544) è il rappresentante più significativo della poesia maccheronica, caratterizzata appunto da un latino “maccheronico”. Si tratta di una lingua che intende parodiare il latino classico, contraddistinta dalla presenza di errori grammaticali voluti e dalla mescolanza con strutture del volgare italiano. Questo nuovo idioma è utilizzato per trattare argomenti comici e bassi, svuotando così la forma epica di ogni valore. Le sue opere poetiche, dal sapore caricaturale, sono confluite in un un’unica raccolta il cui titolo è “Maccheronee”, in latino “Opus macaronicum”, fra cui spiccano la “Moscheide”, racconto della guerra fra le mosche e le formiche, e il “Baldus”. Quest’ultimo è un poema che intende demistificare il genere dell’epos e gli ideali cavallereschi, presentando un personaggio, Baldus,  prepotente e sregolato, nonostante discenda dal celebre paladino Rinaldo. L’apice del grottesco ha luogo nel finale in cui Baldus finisce all’Inferno e più precisamente in una grande zucca in cui sono puniti i bugiardi, primi fra tutti i poeti e lo stesso Merlin Cocai, pseudonimo dell’autore.

4. “A morte la minestra” di Giacomo Leopardi

Anche il grande poeta e intellettuale di Recanati, Giacomo Leopardi, noto per le sue opere dense di significato filosofico e cariche di forza poetica, dai “Canti” alle “Operette morali”, ci fornisce un esempio particolare di poesia umoristica. Fra i suoi intensi studi, le sue capacità geniali, la sua precoce erudizione e la sua già sviluppata abilità nello scrivere in latino, a 11 anni era comunque un bambino che, come molti altri, detestava la minestra. Costretto a “trangugiarla” tutte le mattine, il suo odio per questo piatto sfocia in una poesia in cui invoca addirittura le muse, secondo la tradizione dei grandi poemi epici, per ricoprire di insulti una banale minestra. Le formule solenni e il linguaggio ricercato, quasi stesse esprimendo concetti elevati, rendono molto divertente e spassoso il componimento di cui sotto sono riportate solo due strofe:

Metti, o canora musa, in moto l’Elicona
e la tua cetra cinga d’alloro una corona.
Non già d’Eroi tu devi, o degli Dei cantare
ma solo la Minestra d’ingiurie caricare.
Ora tu sei, Minestra, dei versi miei l’oggetto,
e dirti abominevole mi porta gran diletto.

(…)È ver, ma chi desideri, grazie al cielo, esser sano
deve lasciar tal cibo a un povero malsano!
Piccola seccatura vi sembra ogni mattina
dover trangugiare la «cara minestrina»?

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