I ricordi sono ciò che più di prezioso ha ognuno, un frammento indelebile di ciò che è stato vissuto nel sogno di un’immagine impressa nella mente. È ciò che definisce l’essere umano e lo proietta senza nota in una sur-realtà in costante bilico tra realtà e finzione. Ma cosa succede quando il ricordo diventa un rifugio dalle brutture del presente?
Attraverso la novella di Nerval e l’adattamento cinematografico di Proust realizzato da Ruiz, scopriamo perché rintanarsi nel passato non sia la soluzione ai drammi del presente.
SYLVIE
Novella pubblicata nel 1853 e parte della raccolta Les filles du feu (trad. Le figlie del fuoco), Sylvie racconta la regressione tanto fisica quanto mentale di un giovane senza nome nei luoghi e le memorie della sua infanzia. Stanco dell’aria Parigi che corrompe e distrae, il protagonista, una notte, decide di tornare nella regione del Valois in cui era solito trascorrere il suo tempo da bambino, convinto di poter (ri)trovare solo lì la purezza di un sentimento onnicomprensivo non soggetto all’inesorabile azione distruttiva del tempo che passa. Le sue aspettative saranno ben presto tradite ed il giovane si ritroverà a lottare con i suoi fantasmi, in una cornice temporalmente tratteggiata e spazialmente definita. È infatti in un luogo di memoria storica che avviene questo viaggio tentato all’interno dei propri ricordi, custodito in quattro/cinque cassetti temporali che giocano a chiudersi e riaprirsi senza preavviso. Ne deriva che l’intera novella rinnovata di De Nerval, sia costruita su un percorso binario che alterna presente e futuro, sogno e realtà, immanenza e trascendenza. Da questo caos deriva quel sentimento che Baudelaire chiamerà “spleen” ma che in De Nerval sarà ancora “melancholie”.
LE TEMPS RETROUVÉ
Trasposizione cinematografica ad opera di Raúl Ruiz del settimo volume del capolavoro proustiano À la recherche du temps perdu (trad. Alla ricerca del mondo perduto), Le temps retrouvé si distingue per la sua capacità di trasporre l’intensa interiorità del testo proustiano sullo schermo, utilizzando tecniche narrative e visive che riflettono la complessità temporale dell’opera originale. Il sostrato teorico sul quale si costruisce la pellicola è da rintracciare nella categoria di “memora involontaria” teorizzata da Proust, un meccanismo che agisce sulla base di uno stimolo sensoriale permettendo la restituzione di un ricordo. Ne deriva che ogni aspetto del reale, ogni azione o situazione, dia adito alla memoria di ripescare dalla mente passate esperienze che, d’improvviso, irrompono sul presente creando una distanza tra questo ed il soggetto. È proprio in questo divario tra ce qui était e qu’est-ce que che si articola l’esperienza proustiana descritta nel film, una vera e propria rivoluzione con al centro l’esperienza infantile non più cercata e adattata a schemi adulti ma rivissuta in tutta la sua innocenza.
TRA SOGNO E REALTÀ
Per definizione l’essere umano vive nell’illusione, uno spazio di confine dai labili contorni nutrito da un’apparato di credenze che, vere o meno, costituiscono l’insieme dell certezze. Si tratta di una condizione comune a uomini e donne di ogni luogo e tempo in cui la mente si perde, vola verso orizzonti lontani e si posa come una farfalla su di un fiore custode di memoria più o meno vicina, più o meno dolorosa. Primaria destinazione di tale viaggio è quel mondo ormai lontano, perduto, scivolato tra le dita stanche di una vita trascinata che, tediosa o deludente, urge un ritorno alle origini, a quell’età talmente lontana di cui ormai si conservano solo ricordi positivi e che, per questo, cullano l’animo ferito. Dietro l’illusione di un ricordo tradito dal tempo però alberga la realtà, nemesi dei sognatori, che in un batter d’occhio smonta pezzo dopo pezzo quell’immagine gelosamente custodita nella mente a cui ci si aggrappa con forza e, perché no, con speranza. L’autobiografia fittizia di Nerval è un esempio lampante di questo meccanismo che non tiene conto del tempo e la sua azione erosiva, che vive nell’illusione di un mondo coperto da un telo bianco in trepidante attesa di qualcuno che, alzando quella veste temporanea, gli restituisca la vita interrotta tempo prima. Lavoisier diceva però che “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, a testimonianza dell’inevitabile mutazione del mondo che non ammette staticità ma ha fatto voto al dinamismo, ormai sempre più rapido. Quindi come fare? Cosa cercare? Dove ritrovare la leggerezza perduta impossibile da rintracciare nell’hic et nunc? Probabilmente Proust avrebbe risposto dicendo di non forzare il meccanismo della memoria, di non entrare ed uscire a piacimento dalla porticina rossa che costituisce il confine, il rischio di tradire la bellezza di quel ricordo è troppo alto. Bisognerebbe semplicemente guardarsi intorno, osservare un’immagine, toccare un tessuto, sentire una melodia, riprovare un gusto già noto o, più semplicemente, accostarsi ad un fiore e avvertirne la fragranza.