Una cura basata sulla parola
Partendo dagli studi sull’ipnosi condotti insieme al suo mentore, il famoso fisiologo Josef Breuer, Freud raccoglie del materiale utile a indagare il funzionamento dell’apparato psichico dei suoi pazienti. Ciò che lo incuriosisce sono le attività che si svolgono sotto il livello di coscienza, spesso non controllate dal soggetto, e quindi non intenzionali. Si pensi alle famose pazienti isteriche vittime di forti reazioni corporee come la paralisi, l’afonia o l’epilessia.
Con il progredire della ricerca, Freud comincia ad interessarsi ai sogni, e a condurre delle primordiali autoanalisi una volta svegliatosi. L’obiettivo è quello di far affiorare alla memoria tutti i dettagli dell’episodio onirico al fine di interpretare le associazioni tra il sogno e l’esperienza vissuta in stato di veglia. Sarà proprio su questa linea che comincerà a strutturarsi la pratica clinica, anche per quanto riguarda il setting (come ci si dispone durante una seduta). Il paziente in analisi, sdraiato su un lettino, non ha altro compito se non quello di parlare.
È proprio sulla parola che Freud imposta il processo di guarigione. Grazie alle associazioni libere che il paziente metterà in atto durante la seduta, l’analista potrà vedere in atto il lavoro dell’inconscio e cercare quindi di portare a conoscenza il paziente di quello che, fin lì, non gli era stato accessibile. Inizialmente la comunità scientifica non reagì in modo entusiasta alla nuova proposta di cura, ma quando furono i fatti a parlare (famosi i casi di guarigione di pazienti isteriche, incurabili con le alte metodologie), Freud raggiunse una fama mondiale.
La psicoanalisi è una terapia basata sulla relazione tra l’analista e il paziente
L’evoluzione postfreudiana
Nei decenni successivi, fino ad arrivare ai giorni nostri, molte cose sono cambiate. Freud stesso ha condotto dei pesanti rimaneggiamenti nella sua teoria clinica, che non sempre sono stati intesi o accettati dai suoi seguaci. Si sono quindi formate diverse scuole di pensiero, sempre legate ad un approccio clinico incentrato sulla cura, che però portano alla loro base alcune inconciliabilità teoretiche che spesso hanno portato anche a scontri aperti in ambito accademico. Principalmente, però, ciò che non ha mai smesso di mutare è la “materia di studio”, ossia i pazienti. Se è vero che ognuno di noi è figlio del proprio tempo, le diverse dinamiche sociali del giorno d’oggi hanno portato alla nascita di problematiche che non possono essere prese in considerazione se non con un occhio nuovo e aggiornato.
In Italia, per esempio, l’associazione Jonas, fondata dallo psicoanalista Massimo Recalcati, sta portando avanti da diversi anni una serie di ricerche sui cosiddetti “nuovi sintomi”. I disturbi alimentari, i disturbi d’ansia, le dipendenze, fanno parte di queste nuove forme del disagio della nostra civiltà. Il loro mutare è strettamente legato al mutare del nostro modo di creare la società stessa.
Un’altra prospettiva disciplinare che sta tentando di gettare le basi per un dialogo tra le neuroscienze e la psicoanalisi è proprio la neuropsicoanalisi. L’obiettivo è quello di studiare gli influssi che la psicoanalisi ha sul rinforzo di determinate strutture neurali. Uno dei principali esponenti contemporanei di questa corrente di studi è lo psicoanalista sudafricano Mark Solms.
Attualità della psicoanalisi
Ma a questo punto come fa la psicoanalisi ad essere ancora uno strumento di cura valido? La risposta è semplice. Perché il linguaggio per noi esseri umani è uno strumento di comunicazione non soltanto delle primarie questioni legate alla sopravvivenza, ma anche di tutto quello che nel nostro profondo ci turba. È tramite il linguaggio che diventiamo dei veri soggetti, perché siamo costretti a comunicare con qualcun altro, siamo obbligati a rivolgerci fuori di noi e quindi a darci una forma da presentare a chi ci deve accogliere e, di rimando, a renderci conto della forma che gli altri ci hanno dato.
La psicoanalisi come pratica di cura lavora proprio sulla consapevolezza del paziente del suo particolare modo di essere, non tanto per allinearlo ad una presunta norma, ma per fare in modo che ci sappia fare con se stesso, accettando tutte quelle sfumature che lo rendono unico. Pertanto, finché esprimeremo noi stessi con le parole, la psicoanalisi sarà uno strumento utile per riuscire a capirci più a fondo.
Nicola Copetti