Oggi incontreremo due artisti che hanno pagato a caro prezzo la loro ribellione al regime.

L’arte d’esser dissidenti ha caratterizzato, da sempre, chi avesse tanto coraggio da anteporre il proprio messaggio ideologico alla stessa vita.
Un intellettuale a tutto tondo
Tra le figure che più hanno combattuto la dittatura fascista in Italia riconosciamo Antonio Gramsci, nato ad Ales, in Sardegna, nel 1891. Definirlo professionalmente non è facile, dato lo straordinario eclettismo intellettuale. Come prima accezione, però, si distingue quella di politico, co-fondatore del 1921 del Partito Comunista Italiano di cui fu anche segretario in pieni anni ’20. Il richiamo ideologico all’appena avvenuta Rivoluzione Russa del 1917 è palese: l’eco che ebbe in tutta Europa fu pervasivo e diede il la alla nascita di molte fazioni s’ispirazione marxista. Proprio il pensiero del pensatore tedesco costituì la base del cogito gramsciano, nutrito da un’indagine filosofica non fine a sé stessa ma mirante all’applicazione pratica. Alla completezza dei ragionamenti, che ne fecero uno dei filosofi italiani più influenti di tutto il 900, s’aggiunse una spiccata propensione letteraria, tradottasi nell’attività di giornalista presso il settimanale d’orientamento socialista Il Grido del Popolo e presso il foglio piemontese L’Avanti, di cui fece parte anche il giovane Benito Mussolini poi cacciato. Egli non s’occupò solo di d’argomenti politici ma indossò anche la veste di critico letterario, in particolare di critico teatrale, analizzando con occhio attento i drammi di Luigi Pirandello. Il culmine del suo impegno nelle humanae litterae lo si ha nei Quaderni del Carcere, opera totalizzante di cui c’occuperemo ora.

I Quaderni del Carcere
L’opera si costituisce come raccolta di appunti, testi e riflessioni scritti dall’autore durante la sua prigionia nelle carceri fasciste a Turi, incarcerazione delle quale non è difficile comprendere le motivazioni. Dopo aver marciato su Roma nel 1922, Mussolini emana tra il 1925 e il 1926 le leggi cosiddette fascistissime, un insieme di norme giuridiche che segneranno l’inizio della dittatura fascista. Tra queste, ve n’è una che sanciva la nascita del Tribunale speciale per la difesa dello stato, speciale organo atto al giudizio di tutti i reati perpetrati contro lo Stato e il regime. I primi che ne sperimentarono l’efficacia furono gli avversari politici e Gramsci ne era, sine dubio, un rappresentante autorevole e fortemente pericoloso. Fu così che nel 1928 iniziò il processo che lo vide condannato a 20 anni di carcere per attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all’odio di classe. L’ammontare della pena cela un risvolto interessante quanto macabro, in quanto il pubblico ministero fascista Isgrò terminò il suo intervento in aula affermando: “Bisogna impedire a questo cervello di funzionare per venti anni”. La volontà del regime non era quella di eliminare fisicamente il dissidente Gramsci, e questo non avrebbe comportato troppi sforzi, ma renderlo incapace di mettere al servizio del sentire antifascista la propria capacità intellettuale. Purtroppo il piano di obliterazione mentale, sia per lo stesso prigioniero sia per la dittatura, fallì: Gramsci morì nel 1934 in condizioni di salute oramai irrimediabili.

Il ribelle pittore ebreo
Oggi parleremo di un artista poco conosciuto, o per meglio dire, rivalutato a partire dagli anni ’70 del ‘900. Il suo nome è Felix Nussbaum, pittore tedesco di origine ebrea vittima, senza tregua, del Nazismo e del suo progetto di “pulizia etnica”. Dopo aver girovagato per tutta Europa insieme alla compagna a causa dell’avvento del regime, subendo un primo arresto e una prima esperienza di deportazione per problemi di cittadinanza, riesce a rifugiarsi a Bruxelles. Per qualche anno vive in relativa serenità, sino a che il suo vicino di casa lo denuncia procurandogli un secondo arresto: stavolta la destinazione finale è Auschwitz. Il 31 luglio del 1944 varca i cancelli, il 2 agosto finisce nelle camere a gas con la moglie. La sua produzione artistica è specchio fedele delle vicissitudini autobiografiche, data la presenza di molti autoritratti con sullo sfondo l’ambiente del campo ma si delinea, inoltre, come manifesta allegoria del vissuto: è sufficiente osservare il “Trionfo della morte” per comprenderne il significato. Ecco dunque che i suoi quadri rappresentano sì una reale testimonianza artistica contro l’abominio dell’olocausto, essendo opera di un solo artista, ma racchiudono in sé un’esistenza disumana condivisa da milioni di uomini, donne e bambini.
