Viviamo oggi in una società aperta, globalizzata, ricca di opportunità ma certamente dominata dalla cultura del mediocre. La mediocrità abbraccia ogni aspetto della nostra vita: dalla qualità del cibo che compriamo alla politica attuale. Dal mondo della musica abbiamo da sempre avuto moltssimi esempi. Vi è però un genere musicale che ha rivoluzionato il precedente paradigma o episteme – citando Foucault – entrando di punta nella scena musicale commerciale italiana: sto parlando del trap. La frattura musicale che il trap ha creato, ha permesso di valorizzare molto più l’essere dell’artista piuttosto che la musicalità in sé.
Il trap è intriso di mediocrità ma allo stesso tempo si colloca oltre ogni schema musicale ricorrente poiché non è possibile chiuderlo in categorie.
L’essere dell’artista
I cantanti di questo genere si caratterizzano per una scarsa vocalità, per i testi di certo non brillanti e per un ritmo a sé stante. Vi è però un punto di vista interessante che sfugge tanto agli appassionati quanto ai critici del genere. Tutti i cantanti commerciali del genere ostentano la loro ricchezza invogliando alla loro vita ma, allo stesso tempo, non perdono occasione di ricordare al vastissimo pubblico che li segue, che loro sono solamente persone normali che ce l’hanno fatta. Ghali, Sfera, Capo Plaza e tanti altri sono privi di talento musicale ma riescono comunque a comunicare totalmente il loro essere tramite la mediocrità della loro musica, i propri atteggiamenti, i vestiti e così via, configurando il trap come stile di vita. Il non avere un talento musicale non significa però che i cantanti sopracitati siano sprovvisti anche di altri talenti. Se non avessero avuto e coltivato il talento comunicativo che li contraddistingue, allora non sarebbero arrivati tanto in alto nella scala del successo. I fan credono invece fermamente che i trapper siano uno di loro per cui cercano di emularli o addirittura di percorrere la loro strada, ignari del forte talento comunicativo dei trapper.
Ma dove risiede questo incredibile talento comunicativo?
Robert Sapolsky e Yuvall Novah Harari tentano di darci la risposta tramite la filosofia deterministica. Per i due studiosi, anche la dote comunicativa è frutto di una predisposizione genetica dominante nei trapper, unita alla creatività e ad un ottimo studio di settore riguardante il loro pubblico. Possiamo quindi considerare come naturale il successo dei trapper e, possiamo dire che se non avessero mai iniziato a fare musica, avrebbero comunque sfondato utilizzando le loro doti in altri contesti.
Il non essere dell’artista
Comunicare il proprio essere è un atto nobilissimo, farlo attraverso un’arte alternativa (che si discosta dalla vera e propria musica) suscita reazioni imprevedibili. Già Franz Rosenzweig (filosofo tedesco del ‘900) ci parlava di come l’arte abbia un aspetto dualistico predominante: vi è l’artista e vi è il pubblico.
Secondo il filosofo tedesco, l’oggetto che mette in risalto l’arte ha il compito di mediare il duplice rapporto tra pubblico ed artista poiché il pubblico dà valore all’opera. L’artista impara letteralmente dal suo pubblico che trasforma la sua opera e muta il suo essere. In questo modo, le opere future dell’artista avranno sempre più pubblico dentro ed un’essenza individuale minore dell’artista stesso. Ecco allora come il trap diventa musica del popolo, musica mediocratica che rende il pubblico protagonista di una nuova forma d’arte. Il trap, che ci piaccia o meno, si presenta come la vittoria di un popolo. Rimane comunque il delicato problema di riuscire ad identificare il genere trap in una istituzione artistica e musicale particolare. A questo punto, possiamo affermare forse che il trap non possa essere per il momento catalogato in una categoria esistente, poiché non riconosciuto dal mondo musicale, o che sia addirittura un nuovo modo di concepire l’arte.
Giacomo Di Persio