La caduta di Otranto, 28-29 luglio 1480

 

Parliamo di Storia.

Terminata l’epopea delle crociate, gli sforzi della cristianità cattolica nel contenere le ambizioni del califfato islamico si concentrarono nel Mediterraneo, in una prolungata serie di conflitti principalmente navali che passerà alle cronache come Guerre Barbaresche. Le città della costa dell’Africa settentrionale si erano trasformate nei cosiddetti stati barbareschi, delle città-stato al servizio del califfo in qualità di basi mercenarie a cui facevano capo le flotte dei corsari magrebini, incaricati del saccheggio e della distruzione delle rotte commerciali e degli insediamenti costieri della cristianità.

 

Le guerre barbaresche imperversarono fino al XIX secolo.

 

Lo scopo principale dei corsari barbareschi era incrinare l’economia delle nazioni occidentali tramite le scorrerie e la pirateria per garantire l’indebolimento progressivo del fronte dei Balcani (e conseguentemente un’invasione dell’Europa continentale), ma anche il favoreggiamento della tratta mediterranea degli schiavi e la diffusione dell’ Islam nelle regioni dell’Europa mediterranea. Infatti da entrambe le parti era sorto un vero e proprio business basato sul riscatto dei cosiddetti captivi, ossia coloro che una volta catturati dalla parte avversaria durante gli scontri venivano messi al remo in condizione di schiavitù, o invitati alla conversione per arricchire le proprie fila. Dalla parte europea, i cavalieri ospitalieri (conosciuti anche come cavalieri di Malta o cavalieri di Rodi), terminata la propria missione in Terra Santa, organizzarono un imponente flotta adibita unicamente alla guerra di corseria, non risparmiandosi di schiavizzare sulle proprie galee i prigionieri musulmani per centinaia di anni.

 

Maometto II entra a Costantinopoli

 

Fu in questo scenario storico che Maometto II, califfo ottomano, concentrò i propri sforzi per procedere ad un invasione alternativa del continente, avvalendosi proprio della sua flotta mediterranea. Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, le truppe turche conquistarono Rodi e la quasi totalità della Grecia e dei Balcani, consentendo al califfo di inizializzare la nuova espansione del proprio impero sulle macerie di quello bizantino. Ed è proprio dal porto di Valona, nella neo-conquistata Albania che nel 1480incaricò il corsaro Gedik Achmet Pascià (alla guida di un’ enorme forza di invasione di 18.000 uomini e centinaia di imbarcazioni ben equipaggiate) di stabilire una testa di ponte sulle coste cristiane,  per garantire un corridoio ideale verso le principali roccaforti europee. Come prima vittima del piano d’invasione, venne scelta la città di Otranto, nel Salento. Al tempo parte del Regno di Napoli governato dal re Ferrante d’Aragona, era un insediamento mal difeso e sguarnito, in quanto il sovrano stesso per anni aveva sottovalutato la reale capacità offensiva della marina turca. Come ci narra Donato Moro: ‘Era un centro prestigioso ma debolmente difeso’.

 

Il castello di Otranto.

 

Nella più completa sorpresa degli otrantini, il 28 luglio 1480 le soverchianti truppe ottomane si riversarono a Porto Badisco , cominciando una lenta ma spietata avanzata verso la città, facendo terra bruciata ed inviando tutti i civili catturati alle imbarcazioni per essere spediti a Valona in qualità di schiavi. il 29 luglio i turchi giunsero finalmente sotto le mura, cingendo Otranto in un estenuante assedio. Gedik Pascià inizialmente aveva stilato il proprio piano d’azione preferendo un approccio diplomatico: sperava infatti di far capitolare la guarnigione otrantina avvalendosi della schiacciante superiorità numerica e della temibile reputazione che lo precedeva. Fu tutto inutile: i cristiani di Otranto rifiutarono categoricamente le proposte di resa dei turchi e si asserragliarono nella cittadella, ormai senza alcuna speranza, per l’ultima difesa. Gli ottomani sottoposero il castello a numerosi assalti giornalmente, sfiancando gli Otrantini per logoramento, fin quando il 10 agosto riuscirono a sferrare l’assalto decisivo costringendo i difensori superstiti alla resa incondizionata.

 

Gli ottocento otrantini vengono giustiziati.

 

Gedik Pascià propose loro la conversione all’Islam in cambio di avere salva la vita, ma ancora una volta la gente di Otranto si rifiutò di piegarsi alle richieste dei saraceni. Il 14 agosto, gli ottocento cristiani vennero condotti sul colle della Minerva e sommariamente giustiziati tramite decapitazione. Il sacrificio di questi Otrantini in nome della fede cattolica garantì loro la beatificazione nel 1771 quali Martiri di Otranto, e le loro mortali spoglie vennero raccolte e poste nei reliquiari vetrati della cattedrale cittadina. La reazione dei sovrani cristiani non si fece attendere: inorridito dalla crudeltà e dalla barbarie che i turchi avevano riservato per i suoi sudditi, re Ferrante non si attardò a chiedere aiuto al papa,implorando la formazione di una coalizione di stati cristiani allo scopo di liberare Otranto e di arrestare l’impulso turco che già stava espandendosi nell’entroterra. La risposta giunse un anno dopo, quando nel settembre del 1481 una coalizione guidata dal cardinale Paolo Fregoso (di cui facevano parte truppe aragonesi, ungheresi e napoletane) riuscì a riconquistare la città perduta. I turchi sconfitti non si riorganizzarono per contrattaccare, bensì lasciarono le coste salentine a causa del vuoto di potere dato dalla prematura scomparsa di Maometto II, concedendo al Re di Napoli il tempo necessario per riorganizzare le difese e soprattutto per fortificare pesantemente le roccaforti costiere. Ferrante fece costruire 58 nuove torri sul litorale, e si assicurò che mai più la città di Otranto (soprannominata Porta d’Oriente per la sue peculiare posizione di frontiera marittima) venisse lasciata sguarnita.

 

I Martiri di Otranto.

 

Come scrive Antonio Mantovano, i martiri di Otranto effettivamente salvarono Roma stessa dalla sicura invasione dei turchi, ma nel contempo segnarono l’inizio della sopracitata guerra di corseria per il dominio del Mediterraneo, un conflitto che perdurerà fino all’alba del Diciannovesimo Secolo.

 

Andrea Vigorito