La battaglia di Legnano, 29 maggio 1176

Parliamo di Storia.

“Dall’Alpi a Sicilia, dovunque è Legnano”, recita Il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli. Perché questa località dell’ Altomilanese e la battaglia presso la quale ebbe luogo in epoca medievale furono così importanti per la Storia del nostro paese, tanto da rendere il comune l’unica città citata nell’inno nazionale oltre Roma?

Federico I Hohenstaufen, detto il Barbarossa.

La nostra coscienza storica di quei lontani eventi è profondamente impregnata della condizione di contemporanei; conseguentemente, si tende principalmente a considerare gli accadimenti che coinvolsero la Lega Lombarda in una disperata, quasi suicida guerra contro il Sacro Romano Imperatore Federico I Hohenstaufen detto il Barbarossa come una primissima forma embrionale di senso di unità nazionale italiana -in un’epoca in cui la penisola sottostava ad un’estesissima frammentazione geopolitica- ,dando così il via ad un pressoché interminabile processo d’ “unificazione” che avrebbe raggiunto il suo culmine con la proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861 (o con l’annessione del Triveneto nel 1918, a seconda dell’interpretazione storica che uno desidera seguire).

 

La statua dedicata al guerriero lombardo, a Legnano. Spesso viene erroneamente associata alla figura leggendaria di Alberto da Giussano

 

Tuttavia, questa concezione risulta essere figlia dell’alone leggendario che da sempre avvolge i protagonisti di queste vicende,generando conseguentemente una distorsione  della percezione che spesso rischia di astrarre eccessivamente l’evento dallo scenario globale in cui ebbe luogo – senza nulla togliere alla fondamentale importanza dell’avvenimento storico in sé. Per inciso, la battaglia di Legnano non fu un’espressione di patriottismo spontanea ed incontaminata da parte della cittadinanza di tutti i comuni del Nord (che viene chiamata alle armi per respingere l’invasione straniera dal suolo natio) bensì il risultato di una lunga concatenazione di attriti geopolitici e confronti di potere tra Impero e Santa Sede, che videro l’Imperatore scendere nel Nord Italia per cercare di stabilire la propria egemonia ben cinque volte prima che trovassero la propria (per quanto temporanea) conclusione in questa famigerata battaglia.

 

La Corona Ferrea, simbolo del potere sull’Italia

 

Fin dall’istituzione del Sacro Romano Impero, ciò che distingueva l’ Imperatore dall’essere un semplice Rex Germaniae era proprio l’essere investito della corona ferrea, il simbolo dell’autorità regia sulla penisola italiana. I predecessori di Federico tennero prevalentemente una linea politica di laissez-faire nei confronti delle città italiane: così facendo, garantivano ad esse un ottimo margine di autonomia politica e gestionale  preservandola dalla loro condizione di ducati (istituzione risalente al Regno dei Longobardi) fino all’avvento dei Comuni (fenomeno unico nel suo genere, verificatosi solo nel Nord Italia). Ed è proprio durante quest’ultimo periodo che videro la luce le premesse che innescarono le prime conflittualità. Mentre in Europa occidentale la maggior parte delle monarchie stava abbandonando il sistema clientelare e vassallatico introdotto da Carlo Magno in favore di un sebbene lento ma progressivo accentramento del potere (dando poi il via alla formazione dei primi stati nazionali), in Italia settentrionale accadeva l’esatto opposto. Le città, fino a quel momento gestite nominalmente da un legato imperiale, si trovarono nel vortice di attriti politici generato dalla cosiddetta Lotta delle investiture (la contesa tra Papa e Imperatore sul diritto di nominare i vescovi, perno della società italiana nel pieno medioevo) entrando numerose volte in aperto rifiuto nei confronti dei messi imperiali, contestando l’autorità dell’Imperatore sul Nord Italia e istituendo governi di carattere cittadino a cui capo facevano i magistrati o i podestà.

 

Il Giuramento di Pontida

 

Coerentemente alla sua politica intervenzionista l’imperatore Federico effettuò le sue prime spedizioni pacificatorie in Italia con l’intento di ripristinare la propria egemonia tra il 1155 e il 1163, sconfiggendo con successo Brescia e Milano (la quale sarà assediata due volte e poi rasa al suolo) e stroncando sul nascere la ribellione della neonata Lega Veronese.  La situazione degenerò criticamente quando il papa Alessandro III scomunicò Federico -il quale non gli riconosceva autorità sul seggio pontificio poichè parteggiava per l’antipapa Pasquale III- e l’imperatore, di tutta risposta, ridiscese nella penisola con l’intenzione di marciare su Roma. Questa gravissima e quasi sacrilega decisione spinse i comuni a mettere da parte le onnipresenti discordie ed a schierarsi in favore del papa legittimo  riunendosi nella Societas Lombardiae (unione militare che passerà alla storia come Lega Lombarda), secondo la tradizione, a Pontida il 7 aprile 1167 e a fondare una città senza l’autorizzazione imperiale, nominandola Alessandria in onore del papa per cui si erano riuniti in armi.

Papa Alessandro III

Non potendo tollerare una tale insubordinazione, nel 1174 il Barbarossa condusse per l’ultima volta l’esercito imperiale in territorio italiano intraprendendo una campagna offensiva contro la Lega che nei primi tempi si rivelò molto efficace; prevedendo ed auspicandosi una probabile cessazione delle ostilità, Federico sciolse l’esercito e si recò a Pavia in maggio per intavolare le trattative. Questa leggerezza gli si rivelò fatale: i negoziati fallirono disastrosamente e l’imperatore fu costretto a girovagare per la pianura padana, inseguito dall’armata guidata da Guido da Landriano e in attesa di rinforzi per più di un anno. Il giorno in cui i Lombardi riuscirono ad intercettare l’imperatore a Cairate, nei pressi di Legnano, questi era riuscito a schierare non più di 3.000 cavalieri; per quanto ben equipaggiati e temprati dall’esperienza, l’inferiorità numerica era estrema.

Il 29 maggio 1176, accompagnato da più di 12.000 fanti e qualche centinaio di cavalieri inviati da Brescia, Guido condusse in battaglia il Carroccio -simbolo dell’autonomia dei comuni italiani- adornato delle insegne della Lega e della croce di Ariberto d’Intimano (l’allora vescovo milanese) dando inizio alla battaglia di Legnano. Gli imperiali intrapresero una manovra offensiva di carattere preventivo con lo scopo di infrangere le linee della fanteria italiana, ma non ebbero successo: i cavalieri bresciani riuscirono ad aggirare la formazione tedesca ingaggiandola in una lotta senza quartiere proprio nelle prossimità del Carroccio. Il logoramento e le alte perdite mandarono in rotta la cavalleria pesante imperiale, costringendo l’imperatore ed i superstiti a fuggire dal campo di battaglia. La Lega era vittoriosa. Da lì a poco sarebbe stata firmata la pace di Costanza, che avrebbe garantito almeno per cinquant’anni la quasi completa autonomia dei comuni italiani rispetto al potere imperiale.

La battaglia di Legnano, di Amos Cassoli

Come abbiamo visto, la Lega e la sua vittoria sul campo di battaglia furono senza dubbio più prodotti della necessità e degli interessi che non sincere manifestazioni di abnegazione patriottica. Ciò non di meno, per quanto pilotata da contingenze esterne, questa fu la prima volta che gli italiani si riunirono sotto un’ unica bandiera per difendere i propri interessi ed il proprio territorio, rendendo così l’evento di carattere leggendario e fonte d’ispirazione per le generazioni future. Esempio emblematico è il caso di Alberto da Giussano e la sua Compagnia della Morte: un capitano e novecento cavalieri di cui ci vengono narrate le gloriose gesta ai piedi del carroccio durante la battaglia, di cui non si hanno effettivi riscontri storici ma che tuttavia nel corso dei secoli sono diventati il simbolo del coraggio dei lombardi di Legnano i cui nomi non sono passati alla storia, tanto da diventare quasi a pieno diritto eroi italiani.

 

L’evento ispirò Giuseppe Verdi nel comporre una delle sue opere più famose.

 

La battaglia di Legnano è, in conclusione, senza dubbio uno dei primi mattoni su cui si è costruita l’identità italiana in quanto popolo e non come forma.

 

Andrea Vigorito