Colori piatti e zero sfumature: connubio perfetto per mettere in evidenza le grandi emozioni dei suoi personaggi.
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Se l’obiettivo del cinema fosse sempre quello di unire cultura e morale, allora Ocelot sarebbe il re indiscusso dei film d’animazione.
Intrecci
“Le favole hanno un potere nascosto, il loro fascino non ha fine. Sono il modo migliore per trasmettere un messaggio”. Non ci sono parole più adatte per descrivere la bellezza morale dei capolavori di Michel Ocelot. Opere che parlano di epoche lontane e terre misteriose dove i destini degli uomini si sfiorano e si intrecciano dando vita a un mosaico di lingue, culture e religioni. Storie illuminate dal caldo sole d’Oriente e impreziosite da eleganti palazzi, antiche leggende e preziosi talismani. Opere, le sue, che sono molto più che semplici racconti. Superano mari in tempesta e terre deserte per parlare di umanità, di sentimenti che vanno ben oltre quei confini immaginari che spesso allontanano un’umana armonia tanto giusta quanto naturale per chi, come Ocelot, ha vissuto sentendo il peso di due culture diverse. In bilico tra il freddo vento parigino e il caldo deserto africano, Ocelot dà vita a personaggi straordinariamente umani che oltrepassano limiti culturali socialmente imposti pur di abbracciare l’altro. In virtù di questo, nel 2009 il regista francese ha ricevuto la Légion d’honneur per l’inclusività e la ricercata bellezza dei suoi racconti.
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Cinema e leggende
Ocelot debutta sul grande schermo nel 1998 con “Kirikù e la strega Karabà”: film d’animazione affascinante, dai tratti completamente inediti alla fine del secolo scorso. La storia si rifà a un’antica leggenda dell’Africa occidentale dalla quale il regista riprende integralmente ambientazione e personaggi. Ambientato in un piccolo villaggio africano, il racconto è incentrato sul piccolo Kirikù: bambino dalle capacità straordinarie grazie alle quali cercherà sin da subito di risolvere il problema della siccità nel suo villaggio. Sarà un viaggio tra magia e superstizione il suo. Un viaggio che lo porterà al cospetto della potente strega Karabà. Vero e proprio simbolo di tirannia, la strega ha rubato tutta l’acqua e mangiato tutti gli uomini che avevano cercato di sconfiggerla. Sarà Kirikù a riportare l’acqua e salvare la strega stessa dalla sua pungente malvagità.
Tra i vicoli di Parigi
Opposto in setting è invece “Dililì a Parigi”. Ultimo tra i successi del maestro, il film racconta le avventure di Dililì: una bambina franco-canaca che vive in uno di quei “zoo umani” che tanto andavano di moda nell’Europa di inizio ventesimo secolo. Dililì, che per intelligenza e determinazione ricorda lo stesso Kirikù, intraprende un viaggio nella Parigi della Belle époque alla ricerca di alcune bambine scomparse per mano dei Maschi Maestri che promettevano di “raddrizzare Parigi”. Discriminata dai parigini per le sue origini e dalla sua stessa comunità per via della carnagione leggermente più chiara, Dililì porterà a termine la sua indagine anche grazie ad aiutanti speciali del calibro di Henri de Toulouse-Lautrec, Louis Pasteur e Sarah Bernhardt. Questo piccolo gioiello cinematografico è la prova schiacciante di quanto il grande Michel Ocelot riesca a rendere ogni suo film d’animazione un vero e proprio scrigno culturale.