James Douglas Morrison.
Questo è il nome che fu dato a Jim Morrison quando nacque l’8 dicembre 1943 a Melbourne, in Florida. Si può dire che questo giorno segnò l’alba di un mito, il cui tramonto avvenne invece proprio oggi, ma 47 anni fa: il 3 luglio 1971.
Figlio di un influente ammiraglio della Marina degli Stati Uniti e di una casalinga, il piccolo James visse l’esperienza che, da innocente bambino di quattro anni, cambiò per sempre la sua vita. Mentre la famiglia si spostava in uno degli innumerevoli trasferimenti a causa del lavoro del padre, James vide sul ciglio della strada dei cadaveri di lavoratori indiani accatastati l’uno sull’altro. Questo, oltre ad essere il suo primo traumatico contatto con la morte, fu il momento in cui Jim osservò lo spirito di uno shamano entrare dentro di lui e rimanere lì, influenzandolo per tutta la vita.
Incarnazione della sua epoca, Jim fu detto essere un profeta della libertà, e il condottiero dei movimenti giovanili che stavano scuotendo l’America degli Anni Sessanta. Ne incarnò le contestazioni, diventando l’icona del potere delle nuove generazione e rimanendone il simbolo eternamente giovane. Quasi con un triste Peter Pan, morì nel momento d’oro della sua vita, a soli 27 anni.
Per capire cosa aveva di grandioso il grande artista, bisogna risalire alle grandi figure che lo accompagnarono durante la sua vita e , in seguito, nella sua carriera. Jim Morrison si fece influenzare grandemente dai pensieri del filosofo Nietzsche e dal poeta William Blake, da cui sembra derivare anche il nome della band epocale di cui lui fu frontman, cantautore, poeta e leader : The Doors.
”Se le porte della percezione fossero spalancate, ogni cosa apparirebbe all’uomo come realmente è, infinita.” ( passo tratto da “il Matrimonio del Paradiso e dell’Inferno” di William Blake)
Denominato anche Dioniso, Morrison fu da sempre alla ricerca di quello “strappo nel cielo di carta”, per citare Pirandello. Il giovane, troppo giovane, artista si vedeva come un profeta. Come Rimbaud, di cui teneva sempre una copia degli Illuminati con se, lui si considerava sì un poeta, ma un poeta veggente: un uomo che deve provare tutte le sensazioni, tutte le emozioni, i dolori, gli amori, gli eccessi. Spingersi oltre, spingersi al limite, più avanti di chiunque prima di lui, per poi poter riportare sulla terra, tra noi comuni mortali, ciò che ha appreso. Le analogie con il noto poeta maledetto, Arthur Rimbaud, anch’esso morto in Francia in giovane età, però non finiscono qua. I due si potrebbero definire quasi una sorta di doppelgänger nati in epoche diverse: entrambi dotati di un precocità intellettuale immensa ( Jim Morrison aveva un quoziente intellettivo di ben 149 ), colti molto spesso da impeti improvvisi di violenza e impulsi di ribellione contro qualsiasi simbolo di autorità, tutti e due condussero una vita al limite, sregolata, fatta di eccessi e fatta per stupire. Oltre che per la nomea di “maledetti”. Morrison infatti rappresenta l’elemento fondante della triste leggenda della “Maledizione della J”, che si dice abbia colpito, oltre che lui, anche Janis Joplin e Jimmy Hendrix, entrambi morti a 27 anni. Molti altri artisti, dopo di loro, morirono alla stessa età. Pare quasi di sentirli riecheggiare nella nostra testa i versi dell’Iliade, che ci raccontano di come tutti gli eroi, greci e troiani, abbiano condotto delle vite piene, vite immortali, vite al limite, ma che sarebbero state brevi, oh così brevi.
Più che una “maledizione delle J” o “una maledizione dei ventisette anni”, questa sembra essere la croce che devono portare tutti coloro che vogliono spingersi oltre, assaporando la vita in ogni suo minimo pregio e difetto. Proprio riprendendo Nietzsche, Morrison ha, consciamente o meno, incarnato quello che il filosofo di Rocken definiva lo spirito dionisiaco: quell’ ebbrezza creativa e quella passione sensuale che porta all’esaltazione di qualsiasi forma, luce ed ombra. Per Nietzsche, nella tragedia greca, questa componente era trasmessa attraverso la musica, incalzante, che faceva risuonare la disperazione non solo nei teatri, ma direttamente dentro la nostra anima.
Quello che faceva la musica di Morrison non era in fondo molto diverso: forse la sua voce non sarà stata la più perfetta tonalmente, ma era perfetta per convogliare il messaggio: fosse quello odio, fosse quella tristezza, depressione, ansia, rabbia e amore. Più di una furono le canzone dedicate alla sua partner più importante, Pamela Courson: l’unica che lo amò veramente e l’unica che da lui fu amata. Ma, nonostante il legame che li legava, come per tutti i grandi geni, la donna non poteva competere con la sua vera musica: la musica. Come tanti prima di lui, quali Picasso, Modigliani, Einstein, Morrison non riuscì a mettere da parte il suo demone, lo shamano che lo aveva impossessato, che lentamente gli stava divorando l’anima. Lo stesso Ray Manzarek, membro dei The Doors, ricordando l’amico qualche anno dopo la morte, dichiarò: “Non era un musicista. Non era un attore. Non era un uomo di spettacolo. Era uno sciamano. Era posseduto”.
Così lo ricorderemo per sempre, perchè anche se la sua vita non è stata vissuta nella maniera più lecita, magari mentre cantava ubriaco ai propri concerti, o sotto l’effetto di droghe, mentre invitava la gente a salire sul palco, provocando le forze dell’ordine, tuffandosi in mezzo al pubblico e simulando orgasmi con la voce… Noi lo ricorderemo perchè riuscito ad essere il veggente che desiderava incarnare, amando la sua arte più di qualsiasi altra cosa, a volte più della vita stessa.
Marta