Lo Sri Lanka sta affrontando le conseguenze dell’incendio della nave cargo, ingoiata dalle fiamme per 13 giorni, a largo del porto di Colombo.
Il disastro in Sri Lanka ha comportato una mobilitazione internazionale, per arginare i considerevoli danni ambientali. Le autorità locali hanno potuto, e possono, contare sul supporto di esperti, e guardie costiere, per mitigare le conseguenze dell’incendio della nave cargo MV X-Press Pearl, scoppiato lo scorso 20 maggio. Invece, l’esercito fornisce il suo contributo nella raccolta dei materiali tossici arenati sulle spiagge. Intorno alla Giornata Mondiale dell’Ambiente, a tema ripristino, l’auspicio è riuscire a contenere la marea nera, e rivitalizzare l’ennesimo ecosistema degradato dall’uomo.
La marea nera in Sri Lanka
Lo Sri Lanka vive l’apparentemente indomabile situazione del disastro della MV X-Press Pearl. La nave cargo, devastata per 13 giorni da un incendio, al largo del porto di Colombo, rischia di provocare un disastro ambientale senza precedenti. Ha cominciato ad affondare nella mattina di mercoledì 2 giugno. Vista la vicissitudine, degli esperti internazionali sono giunti in loco per fornire supporto alle autorità. Falliti, invece, a causa del maltempo, i tentativi dei soccorritori di trainarla in acque più profonde, lontano dalla costa.
Il giorno successivo si è adagiata sul fondo, dalla parte di poppa, a 21 metri di profondità. Sul posto, è arrivata anche un’imbarcazione della guardia costiera indiana, con attrezzature adatte a contenere l’eventuale fuoriuscita di carburante. L’India aveva, dal canto suo, già partecipato alle operazioni per domare le fiamme, che avevano iniziato a propagarsi lo scorso 20 maggio.
I rappresentanti della Federazione internazionale dei proprietari di container contro l’inquinamento (Itopf) e l’organizzazione Oil Spill Response (Osr) stanno monitorando la MV X-Press Pearl, come ha fatto sapere la X-Press Feeders, il cui ad, Shumel Yoskovitz, si è scusato con lo Stato per il disastro. Le autorità continuano a controllare la situazione per prevenire un ulteriore disastro ambientale.
Una parziale rassicurazione è arrivata, però, dal comandante dell’Autorità portuale dello Sri Lanka. L’opinione, avanzata dagli esperti, sarebbe che il petrolio a bordo potrebbe essersi esaurito, constatato che non sono avvenute perdite nelle 36 ore precedenti.
Da giorni, intanto, si sono mobilitate le squadre di soccorso per rimuovere i granuli di microplastiche dalle spiagge. Si tenta di ripulirle, anche per non compromettere la ripresa del turismo post pandemia. Ad oggi, “i danni all’ecosistema marino sono incalcolabili”, secondo Hemantha Withanage, il direttore esecutivo del Center for Environmental Justice dello Sri Lanka.
Le conseguenze del disastro
Non solo il petrolio minaccia il delicatissimo ecosistema marino. Nei 1.486 container a bordo, 81 dei quali classificati come “carico tossico”, ci sono anche lingotti di piombo, 25 tonnellate di acido nitrico, altri prodotti chimici e cosmetici. Senza contare le tonnellate di microgranuli di plastica da imballaggio, contenute in altri 28 container. Le notizie, circa i primi danni alla biodiversità, accompagnano le foto testimoni dei danni sulla fauna: pesci e uccelli morti, tartarughe marine avvelenate. Secondo il WWF, la fuoriuscita dell’intero contenuto dei container, metterebbe a repentaglio la sopravvivenza dei fondali marini, e degli ecosistemi delle aree costiere dello Stato.
L’economia è un altro settore che sta risentendo del disastro ambientale. Il governo dello Sri Lanka ha avviato un’indagine penale sul disastro, per chiedere un risarcimento. Nel frattempo, ha imposto il divieto di pesca su un tratto di mare di 80 Km, lungo la costa occidentale dell’isola. Questo, ha portato al blocco delle attività di oltre 5mila pescherecci, con conseguenze ingenti sul mercato ittico, e sulla reperibilità di sostentamento. Il divieto ha colpito, difatti, 4.300 famiglie, molte delle quali vivono con un pasto al giorno.
La rabbia monta, altresì, per il permesso della MV X-Press Pearl di dirigersi verso il porto di Colombo, nonostante la nota perdita di acido nitrico, causa dell’incendio, e la respinta di India e Qatar.
Un altro ecosistema degradato
Il 5 giugno si celebra la Giornata Mondiale dell’Ambiente. La ricorrenza, istituita dall’Onu nel 1972, quest’anno concentra la sua attenzione sul ripristino degli ecosistemi degradati dall’uomo.
Il caso di MV X-Press Pearl è l’ennesimo, malaugurato, esempio di degradazione di un ecosistema. Per misurare la gravità del disastro, si può utilizzare quello che, in Geomorfologia ambientale, prende il nome di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Il settore della Geomorfologia ambientale si occupa delle interazioni esistenti tra le attività dell’uomo e l’ambiente fisico. A seconda dell’influenza dell’uno sull’altro, si parla o di rischio ambientale o di impatto ambientale. Nel caso della nave cargo in Sri Lanka, l’attività antropica ha inficiato l’integrità ambientale, portando, inevitabilmente, a modifiche fisiche, biologiche e sociali. Quindi, ci si attiene alla formula, suddetta, di impatto ambientale, per la quale è utile servirsi del VIA.
Il VIA è un procedimento tecnico-amministrativo di verifica della compatibilità ambientale di un progetto, utilizzato per la prima volta nel 1969. Presenta diversi fini: migliorare le decisioni pubbliche per definire un bilancio beneficio-danno, sotto il profilo ambientale e socio-economico; impegnarsi a realizzare la sostenibilità; impedire il danno ambientale, attraverso un sistema di prevenzione-previsione.
Secondo l’Onu, il ripristino di un ecosistema aiuta a: proteggere, e migliorare, i mezzi di sussistenza; combattere le malattie; ridurre il rischio di disastri naturali. Inoltre, quest’azione potrebbe contribuire al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, intorno al 2030. L’auspicio, per quanto concerne lo Sri Lanka, guarda al contenimento della marea nera, e alla rivitalizzazione di un ecosistema, vittima della forza di impatto antropica.