Nel 2018 esce nelle sale cinematografiche Green Book, una pellicola che racconta la storia vera di un uomo bianco con forti pregiudizi razziali e di un uomo di colore che cerca di capire se stesso, in viaggio nel profondo e bigotto Sud degli Stati Uniti. Il film, recentemente candidato in varie categorie ai prossimi Oscar 2019, ci offre una storia romanzata sullo sfondo di un’America degli anni ’60 caratterizzata dal fenomeno della segregazione razziale.
Il seguente articolo potrebbe contenere alcuni SPOILER per il film.
Un decennio di segregazione e attivismo
La situazione degli Stati Uniti d’America nell’immediato dopoguerra è sostanzialmente questa: i bianchi non possono svolgere alcuna attività assieme ai neri, che sia comprare nello stesso negozio, prendere lo stesso autobus o andare nello stesso bagno. I bianchi sono in tutto e per tutto padroni del proprio vivere agiato e confortevole, in possesso di molti diritti rispetto alla popolazione afroamericana. La svolta comincia a presentarsi grazie ad alcuni gesti di coraggio e determinazione attuati da cittadini afroamericani come, ad esempio, Rosa Parks che il 1 dicembre 1955, a Montgomery in Alabama, si rifiuta di cedere il posto in autobus a un signore bianco. La Parks viene arrestata per aver violato una delle ordinanze sulla segregazione della città. Da questo evento, il reverendo Martin Luther King prende spunto per attuare una protesta pacifica che consiste nel boicottare il servizio di autobus, facendo in modo che gli afroamericani non se ne servano per ben 381 giorni. King viene arrestato insieme ad altre 90 persone di colore con l’accusa di aver intralciato un servizio pubblico, ma egli non si arrende e ricorre in appello, vincendo. Il 4 giugno 1956, una corte distrettuale degli Stati Uniti d’America emana la sentenza che la segregazione razziale sugli autobus di linea urbana è anticostituzionale. Successivamente, l’entrata (o, per meglio dire, fondazione) degli Stati Uniti nell’Organizzazione delle Nazioni Unite subisce forti critiche legate all’ipocrisia della società americana che si prefigge di attuare la pace tra i popoli e le razze all’estero, presentando invece al proprio interno situazioni molto contraddittorie sul piano della segregazione. Le proteste pacifiche proseguono come nel caso della città di Greensboro, nella Carolina del Nord, dove quattro studenti di colore entrano in un supermercato chiedendo un caffè al banco. Com’è di consuetudine, il negoziante rifiuta e così i quattro rimangono lì seduti, dando nascita alla pratica di protesta nota come sit-in, che viene poi adoperata in molti altri stati.
La svolta riformista di J. F. Kennedy
Un ulteriore svolta viene data dalle elezioni presidenziali statunitensi che vedono apparire la novità incarnata dalle intenzioni di John Fitzgerald Kennedy. Kennedy investe il ruolo di grande riformatore per molti capisaldi della società americana, tra cui il ruolo della donna e la questione, appunto, della segregazione razziale. Nell’aprile del ‘63, Kennedy chiede al Congresso di emanare leggi che garantiscano ai cittadini uguale accesso ai servizi e alle strutture pubbliche e private, che non sia permessa la discriminazione nelle assunzioni da parte di imprese e istituzioni federali, e che il governo federale non fornisca alcun sostegno finanziario in programmi o attività che riguardino la discriminazione razziale. È il 19 giugno 1963 quando il messaggio del presidente alla nazione rappresenta un evento di portata storica ed epocale: la legge sui diritti civili, il Civil Rights Act, diviene realtà, preceduta qualche mese prima da una marcia di 2500 persone durata 40 giorni e guidata da M. L. King. Ad agosto, poi, vi è un’altra marcia molto più imponente a Washington, che vede coinvolti non solo persone di colore ma anche bianchi che parteggiano per un’uguaglianza di diritti. La marcia raggiunge molte persone nel mondo attraverso la televisione e ha importanza storica fondamentale per dare valore agli sforzi del presidente Kennedy. La sua azione riformista, poi rimessa lievemente in discussione con il suo assassinio e con quello di King, ha avuto un impatto davvero molto incisivo sulla percezione della segregazione degli americani, venendo definita come il fondamento del cambiamento effettivo, al quale noi oggi assistiamo ma che sembra poter essere rimesso nuovamente in discussione dalle politiche attuali.
Green Book: un viaggio alla ricerca di se stessi
Il film del regista Peter Farrelly si innesta nel pieno della presidenza Kennedy, un anno prima degli eventi che portano poi alla promulgazione del Civil Rights Act. Green Book utilizza la ‘scusa’ dell’essere un road movie per parlare di un’amicizia che si instaura tra due persone che sembrano essere completamente diverse, e in realtà lo sono. Tony Vallelonga (interpretato da Viggo Mortensen) è un italo-americano di New York abituato alla vita povera ma genuina della sua famiglia di origini siciliane, mentre Don Shirley (interpretato da Mahershala Ali) è un musicista di colore che ha sempre saputo sfruttare il suo talento da pianista per conquistare una vita quanto più vicina a quella che vivono i bianchi, vivendo negli agi e nelle comodità. Dapprima un buttafuori di un locale, Tony deve accettare la generosa offerta di lavoro di Don per fargli da autista nel suo tour di concerti che si svolgerà nel più profondo Sud degli Stati Uniti, dove la segregazione razziale è fortemente radicata, faticando ad accettare di lavorare per un nero visto che anche lui è intollerante nei loro confronti. Durante il viaggio, i due imparano l’uno dall’altro tradizioni e concezioni diverse e spesso opposte, riuscendo a fonderle per dare vita a un’amicizia che sfida il dissenso e l’intolleranza. Tony diventa sempre più tollerante nei confronti di Don, grazie anche al suo talento di musicista, modificando la sua prospettiva sugli afroamericani. Don, dal canto suo, impara che non deve dimostrare necessariamente di essere un afroamericano diverso con la buona postura o i vestiti eleganti affinché possa essere accettato: deve semplicemente trovare se stesso ed esprimerlo al meglio.
Ed è proprio qui che Green Book raggiunge l’apice della sua espressione: Don sente il peso di un conflitto interiore che lo dilania poiché, nonostante sia riuscito a ottenere un tenore di vita soddisfacente, non riesce a farsi accettare nè dalla comunità dei bianchi, nè dalla comunità dei neri. I primi non lo tollerano perché nero, i secondi sono diffidenti perchè vive una vita da bianco, probabilmente dando l’impressione di mostrarsi superiore di fronte alla gente della propria razza. Don sente il peso della solitudine vissuta in un limbo, ma si fa forza per superare questo disagio con l’espressione del suo talento, sfidando il fenomeno della segregazione razziale proprio dove esso è più radicato, nel Sud degli Stati Uniti. Tony e Don si ritrovano a sfidare il dissenso e l’intolleranza, aiutandosi a vicenda, fianco a fianco, forgiando un legame indissolubile.
Green Book ci insegna che la diversità esiste, può essere tollerata e non dipende dal colore della pelle, ma dalle esperienze di vita che sono mutevoli per chiunque. Come Tony, che è comunque figlio di immigrati italiani in un ghetto, si ritrova a lavorare per qualcuno che prima non tollerava, Don è un afroamericano che ha vissuto una vita dedicata al suo talento e che gli ha permesso di distinguersi anche, però, agli occhi degli afroamericani. Green Book ci dice che le esperienze cambiano e ci cambiano, ci rendono diversi. Anche se possiamo riscontrare un’immane fatica contro il dissenso, la nostra diversità, e la lotta che intraprendiamo per affermarla, è l’unico mezzo per autenticarci come individui.
Luca Vetrugno