In occasione della “Giornata internazionale del bacio”, celebrata il 13 aprile di ogni anno, leggiamo sette poesie che ne parlano.
Dai “basia mille” catulliani al bacio “proibito” cantato da Dante nel V canto dell’Inferno, oltre ai più noti baci della letteratura, scopriamo alcune poesie della lirica italiana novecentesca che ci raccontano di baci indimenticabili, baci di addio, baci rubati, mancati, baci candidi e baci appassionati, bacetti giocosi, romantici… Baci dati e ricevuti, chiesti, richiesti, invocati, desiderati.
1. Il “vasillo”
Gabriele D’Annunzio (1863-1938) nelle sue opere in prosa e in versi descrive decine e decine di baci (basti pensare semplicemente alle pagine de “Il Piacere”, il suo romanzo più famoso che apre le porte al Novecento letterario italiano), racconta di incontri, unioni reali o fittizie che assumono connotazioni estremamente definite grazie all’adozione di un linguaggio evocativo e immaginifico.
Tra le poesie più originali di D’Annunzio troviamo una canzonetta scritta nel 1892, quasi per gioco, in napoletano, che costituisce un unicum nel vastissimo e densissimo panorama lirico del Vate. Il titolo della poesia è ‘A vucchella e il bacio, anzi il “bacino”, è indicato con i termini vasillo o vaso piccerillo; D’Annunzio, per mezzo di un’incessante sequenza di diminutivi, vezzeggiativi e ipocoristici prega Cannetella di baciarlo: “dammilo nu vasillo”.
2. Al riparo dalla pioggia
Eugenio Montale (1896-1981) dedica numerose poesie alle donne da lui amate, come dimenticare i commoventi versi della sua poesia più nota in assoluto (“Ho sceso dandoti il braccio”)… Le donne -spesso redentrici e “beatrici”- assumono una funzione fondamentale nella lirica e nella vita del poeta, abitano le poesie montaliane a partire da Annetta/Arletta, Gerti, Dora Markus, Paola Nicoli, e anche Clizia e Cristofora, Volpe, e soprattutto Mosca… In una poesia, appartenente alla quinta sezione “Silvae” della raccolta “La bufera e altro” il poeta descrive l’incontro tra due innamorati in una serra in una giornata piovosa, in uno scenario dalle tinte quasi cinematografiche in cui non mancano i riferimenti alla Liguria. Non usa mai la parola “bacio”, ma scrive:
Rapito e leggero ero intriso/ di te, la tua forma era il mio/ respiro nascosto,/ il tuo viso nel mio si fondeva,
é la descrizione di un bacio che si fa ascensione dai tratti misticheggianti (“rapito”), e, soprattutto, compenetrazione, l’idea di una tangibile fusione totale nell’altro.
3. La separazione
Guido Gozzano (1883-1916), uno dei più grandi esponenti del crepuscolarismo, nella poesia “L’assenza” ci descrive un bacio di addio, la separazione tra la donna che scompare e il poeta abbandonato:
Un bacio. Ed è lungi. Dispare
La donna da lui amata si dilegua lungo la strada e il poeta poggia la guancia sulla ringhiera del balcone: qui, fermo, pensieroso, sospeso, ricorda il bacio per riempire quel vuoto, quell’assenza, ripete a se stesso, forse per convincersene “Non sono triste. Non sono più triste”, perché lei ritornerà la sera, e lui la aspetterà.
4. Il bacio della redenzione
Clemente Rebora (1885-1957), esponente della poetica vociana, è conosciuto soprattutto per i suoi testi di denuncia nei confronti del dramma bellico, da lui vissuto in prima persona (combatté con i gradi di ufficiale durante la prima guerra mondiale; in particolare, fu l’esplosione di un obice a poca distanza a segnarlo per tutta la vita e a provocargli un grande trauma nervoso) e per le poesie di stampo religioso, mistico.
In “Voce di vedetta morta” il tema centrale è la guerra e la ricerca (impossibile) di un conforto per i sopravvissuti; l’immagine del primo verso è quanto mai agghiacciante, “c’è un corpo in poltiglia”, ecco chi è il soldato al fronte, ecco ciò che ne resta. Il poeta continua: “Però se ritorni/ tu, uomo, di guerra”, se riesci a sopravvivere, non dire, non raccontare “a chi ignora”: la guerra è un dramma indicibile.
Qual è la soluzione, dunque, se non si può “dire la cosa”, se la comunicazione è impossibile? La risposta è la figura femminile. Solo la donna è (può essere) fonte di salvezza per il poeta, Lei è l’unica che potrebbe capire quel dolore incomunicabile, inconcepibile che solo attraverso il contatto può essere condiviso.
Ma afferra la donna/una notte, dopo un gorgo di baci,/ se tornare potrai
5. Il bacio che non c’è stato
Sibilla Aleramo (1876-1960), una delle più grandi scrittici e poetesse del Novecento, nella poesia “Le mie mani” ci parla di un bacio ricevuto e di un bacio mancato, mescolando i piani del ricordo e del rimpianto.
or ricordando te/ lontano/ che le mani soltanto mi baciasti,/ io la mia bocca piano accarezzo.
Il passato tangibile anche se lontano si scontra con il presente. Tanto quelle mani “a scrivere condannate crudelmente” erano state accarezzate, tenute in altre mani, “fra le tue”, baciate, eppure un bacio, quello sulla labbra, non è mai arrivato, lasciando l’autrice in una dimensione atemporale, sospesa tra ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere.
6. Quei “due”
Cesare Pavese (1908- 1950) in una delle Poesie del disamore (1934-1938), intitolata “Due”, racconta un incontro di amore tra un uomo e una donna, distesi sul letto che, dopo aver giaciuto insieme, si ritrovano con le teste poggiate l’una accanto all’altra, non più abbracciati, ma comunque vicini.
La donna volge il viso accostandogli la bocca alla bocca. […] La bocca dell’uomo s’accosta.
Ancora una volta, la parola “bacio” non è menzionata, ma la descrizione sensuale del segno di amore non è affatto vaga.
7. Un bacio e una bocca
Alda Merini (1931-2009) nella breve lirica “Ieri sera era amore“, dedicata a Ettore Carniti, suo primo marito, e contenuta nella raccolta “Destinati a morire”, scrive:
io e te nella vita/ fuggitivi e fuggiaschi/ con un bacio e una bocca/ come in un quadro astratto
La poesia restituisce la rappresentazione di un amore genuino, florido, giovane, forse irripetibile o comunque inserito in una dimensione temporale ben precisa; due amanti ribelli e sfuggenti che uniti dal bacio, si ritrovano come in un quadro astratto, non tangibile. Il bacio è un medium attraverso cui comunicare, connettersi con l’altro, attraverso il quale immergersi nell’altro, svelarsi all’altro.