Un anno volge al termine, un altro sta per cominciare: scopriamo “Il Primo Gennaio” di Eugenio Montale.
Al 2021 avevamo chiesto di non essere come il 2020, ma siamo stati accontentati? L’ultimo anno è iniziato con un’Italia divisa per colori e si chiude con il numero di contagi più alto da inizio pandemia. Il ritorno alla normalità che ci si aspettava è stato incompleto ed effimero, e ha ceduto adesso il passo a nuove restrizioni. Cosa possiamo aspettarci dal nuovo anno?
Fine del 2021
Per la fine dell’anno si tirano bilanci, per l’inizio dell’anno si elencano propositi. Si tratta di qualcosa di estremamente soggettivo, eppure la pandemia ci ha unito anche in questo. Esattamente un anno fa ci trovavamo tutti a sperare la stessa cosa: un graduale ritorno alla normalità, ai concerti, e alle lunghe tavolate a pranzo e a cena con gli amici. Il 2021 non è iniziato nel migliore dei modi, ma ha poi fatto pensare a un graduale ritorno alle vecchie abitudini, che ha subìto una battuta di arresto nell’ultimo periodo. Tra mascherine chirurgiche e FFP2 e tra tamponi rapidi e molecolari, migliaia sono le feste di Capodanno annullate anche quest’anno. Le aspettative per il 2022, insomma, cedono forse un po’ il passo alla rassegnazione. È facile essere positivi, ma non nel senso ottimista del termine!
Fine del ‘68
Come parlare della stranezza di un Capodanno in cui è difficile celebrare l’anno trascorso ma altrettanto complesso nutrire buoni propositi per l’anno in arrivo? Per tentarlo possiamo provare a servirci delle parole di Eugenio Montale, che nella raccolta Satura includeva il componimento “Fine del ‘68”: estraneo alla mondo, dalla luna e come uno tra gli uomini, il poeta Premio Nobel commenta la stranezza di alcuni egoistici festeggiamenti, con una dura critica alla società. La chiave del componimento ruota attorno all’accostamento tra le bombe che uccidono e i petardi che festeggiano l’anno nuovo.
Ho contemplato dalla luna, o quasi,
il modesto pianeta che contiene
filosofia, teologia, politica,
pornografia, letteratura, scienze
palesi o arcane. Dentro c’è anche l’uomo,
ed io tra questi. E tutto è molto strano.
Tra poche ore sarà notte e l’anno
finirà tra esplosioni di spumanti
e di petardi. Forse di bombe o peggio,
ma non qui dove sto. Se uno muore
non importa a nessuno purché sia
sconosciuto e lontano.
Il primo gennaio
Insiste sull’estraneità, Montale, anche nel pensiero rivolto al primo dell’anno: si può vivere anche non esistendo, e la percezione di ciò si fa nitida nel mezzo del caos dei festeggiamenti.
So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno
l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone.
So che non c’è magia
di filtro o d’infusione
che possano spiegare come di te s’azzufino
dita e capelli, come il tuo riso esploda
nel suo ringraziamento
al minuscolo dio a cui ti affidi,
d’ora in ora diverso, e ne diffidi.
So che mai ti sei posta
il come – il dove – il perché,
pigramente rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze.
So che quello che afferri,
oggetto o mano, penna o portacenere,
brucia e non se n’accorge,
né te n’avvedi tu animale innocente
inconsapevole
di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra
e una sostanza, un raggio che si oscura.
So che si può vivere
nel fuochetto di paglia dell’emulazione
senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato
da Chi volle tu fossi…e se ne pentì.
Ora,
uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti
lo scheletro dell’albero di Natale,
ti accompagna in sordina il mangianastri,
torni indietro, allo specchio ti dispiaci,
ti getti a terra, con lo straccio scrosti
dal pavimento le orme degli intrusi.
Erano tanti e il più impresentabile
di tutti perché gli altri almeno parlano,
io, a bocca chiusa.