Se Achille, Ettore o Diomede potessero ascoltare una canzone dei nostri anni quale sarebbe? Ce ne sarebbe una il cui contenuto sarebbe loro gradito?
La risposta a questa domanda è probabilmente sì. Si parla di “Centuries” dei Fallout Boys, un tripudio di strofe sulla gloria.
Centuries
La canzone, uscita nel settembre del 2014, è uno dei singoli più noti e apprezzati del gruppo statunitese Fall Out Boy. Il videoclip del singolo, con un forte impianto rock che dà una fortissima scarica di adrenalina, ritrae i membri della band nel ruolo di gladiatori intenti a combattere nel Colosseo contro un gigantesco avversario, circondati dal pubblico festante. Il combattimento, a prima vista disperato, si concluderà in loro favore grazie all’aiuto di un vecchio misterioso che aveva dato ad ognuno di loro un pezzo diverso di una fionda, con la quale uccidere il gigante. Il richiamo è ovviamente a Davide e Golia, ma è il testo quello che più ci interessa, soprattutto nel ritornello. Dopo una prima, fugace distinzione tra le gesta che diventano polvere e quelle che diventano leggende auree, proclama l’immortalità della gloria di chi canta nei secoli dei secoli. Centuries è appunto la marca temporale del loro nome, che verrà registrato nei libri della storia.
La gloria epica
In questo senso quello di cui parla “Centuries” è esattamente quello che cerca l’eroe dell’epica antica. Le ricchezze e il potere sono componenti fondamentali dell’etica arcaica per come la si vede in Omero, ma sono strettamente legate alla gloria. Il bottino di guerra, le armi razziate, il potere in assemblea, sono tutti derivati dalla gloria che l’eroe, con le proprie imprese, è riuscito ad ottenere. Quando l’eroe si confronta con altri, è sulla base delle proprie azioni, gloriose o meno, e della sua discendenza, che è un motivo come un altro di onore e gloria, anche se, sfortunatamente per loro, non modificabile. Così in Omero, ma nell’epica greca in generale, un eroe è stimato e ritenuto valoroso per la qualità delle imprese sue e dei suoi antenati. Achille, per fare un esempio, è onorato sia per la sua forza e per le numerose vittorie in battaglia, ma anche in quanto figlio di Teti e di Peleo, lei dea e lui membro della celeberrima spedizione degli Argonauti in cerca del vello d’oro.
La gloria nell’Iliade
Per trovare dei passi dove si può vedere con tutta la sua forza la costante presenza del concetto di gloria nell’epica antica, si deve sicuramente cercare nell’Iliade. In particolare, i libri V, VI e VII sono tra quelli maggiormente ricchi di scontri e quindi di occasioni per gli eroi di ottenere la tanto ambita gloria che farà riecheggiare nell’eternità i loro nomi, fine ultimo del loro impegno. Nel libro V vediamo infuriare Diomede, reso più forte da Atena, contro la schiera dei Troiani. In particolare, troviamo come uno dei moventi per uccidere Enea, oltre al dovere verso Agamennone e contro i Troiani, sia quello di ottenere i suoi preziosi cavalli, di una razza donata dallo stesso Zeus ai mortali. Stenelo, aiutante di Diomede, gli ricorda che sottrarre quei due preziosi cavalli gli conferirebbe una grande gloria, e tanto basta per convincere l’eroe. Nel libro VI possiamo trovare come motivo di gloria quello della discendenza. Il celebre incontro tra Glauco e Diomede è un’occasione per l’eroe licio di raccontare la storia del suo avo Bellerofonte, l’uccisore della chimera. Questo è un biglietto da visita notevole e che Glauco tiene a mostrare. Nel libro VII, infine, possiamo notare che la sfida a duello che Enea lancia alla schiera dei Grecia, viene raccolta su esortazione e biasimo del vecchio Nestore, che prospetta ai comandanti dell’esercito quale vergogna ci sarebbe nei loro confronti (e quindi della loro gloria) se nessuno accettasse lo scontro.