“Curiosità” della Berté e la curiositas nella letteratura: quando la voglia di sapere è troppa

La curiosità è una straordinaria propensione personale per la conoscenza e la scoperta di ciò che è ignoto. Approfondiamone le sfumature attraverso la canzone di Loredana Berté e qualche passo letterario.

“Curiosity”, il rover lanciato dalla NASA per esplorare Marte (Flickr)

Che sia il titolo di una canzone pop, la caratteristica principale di diversi personaggi della letteratura (antica e non) o il nome di un sofisticatissimo rover spaziale che passeggia su Marte, la curiosità è senza dubbio un’attitudine di grande interesse che porta l’uomo a interrogarsi sull’ignoto e a desiderare di conoscerlo. Approfondiamo questo concetto con qualche passo letterario.

Loredana Berté e la curiosità dannosa

Ci facciamo del male in entrambe le ipotesi / Ma le ipotesi non le temiamo, no!

E ancora:

È la curiosità! È la curiosità / Che rende tutto difficile / Ci porta via di qua

Questi sono alcuni versi della canzone “Curiosità” scritta da Enrico Ruggeri e interpretata da Loredana Berté. Il brano parla di un amore turbolento che ha come orizzonte la curiosità dei partner che li spinge quotidianamente a ricercare il nuovo, lo sconosciuto, le ipotesi che, inevitabilmente, li porteranno a soffrire. La canzone, seppur incentrata sulla descrizione di un tipo di amore, ben evidenza alcune caratteristiche della curiosità che la rendono una particolare abitudine e condizione umana. L’etimologia del termine curiositas è legata a cura (“preoccupazione, sollecitudine, interesse”)  e denota una sorta di naturale propensione dell’essere umano, quasi un’irrequietezza che lo porta ad ambire alla conoscenza. Noi, infatti, possiamo intendere la curiosità come una voglia di conoscere e approfondire l’ignoto. Oggi il sostantivo curiosità è strettamente legato al mondo del gossip e dei pettegolezzi ma questa attitudine si può esplicare in infiniti ambiti (accademici e non). La parola greca che traduce “curiosità” è φιλομάθεια (philomàtheia) che propriamente significa “amore per l’apprendimento”. Notiamo, dunque, che la curiositas consiste nella nostra preoccupazione di sapere indagare ciò che non conosciamo e con cui non abbiamo dimestichezza. La letteratura di ogni tempo ha messo tematizzato la curiosità: vediamo qualche esempio.

La tentazione di Adamo ed Eva, Masolino, Cappella Brancacci (Wikimedia)

Adamo, Eva e la curiositas punita

La Genesi, com’è noto, racconta in chiave allegorica e simbolica la creazione del mondo e dell’uomo da parte di Dio. Il testo biblico (2, 8 e ss.) narra anche la celeberrima vicenda di Eva che, ingannata dal Serpente, si ciba dell’Albero della Conoscenza violando l’unico divieto che il Signore aveva imposto all’uomo. Satana, nel breve dialogo con Eva, la rassicura sulle conseguenze del suo gesto: lei non sarebbe morta se avesse mangiato la mela (al contrario di quanto detto da Dio):

Ma il serpente disse alla donna: “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male

Estremamente interessante il collegamento che il Serpente fa tra la Conoscenza e l’essere come Dio. Lo status ontologico dell’uomo trarrebbe grandissimo giovamento dalla conoscenza: l’essere umano potrebbe elevarsi e diventare come il Signore, la creatura raggiungerebbe il proprio Creatore. Fatte salve le considerazioni di carattere religioso, emerge da questo passo l’indizio di una naturale propensione dell’uomo a indagare e scoprire l’ignoto. Adamo ed Eva non conoscono la differenza tra il bene e il male, essi vivono in un luogo di eterna beatitudine e sanno soltanto di non dover mangiare uno specifico frutto ma, ciononostante, infrangono il divieto. A prescindere dall’azione del Serpente che spinge la donna a peccare, la domanda non esplicitata dalla Genesi rimane comunque: cosa succede se si mangia dell’Albero della Conoscenza? Qual è la differenza tra il bene e il male? Adamo ed Eva non hanno queste risposte ma sono naturalmente portati a ricercarle. La curiositas, in questo passo, è manifestata dall’intrinseca voglia dell’uomo di raggiungere ciò che non può (o non deve) sapere. La storia si conclude come sappiamo: Dio scopre il peccato dell’uomo e caccia Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre. La curiosità viene immediatamente punita. L’uomo, che ormai è diventato come Dio, deve pagare le conseguenze.

Orazio tra il carpe diem e lo scire nefas

L’ode 11 di Orazio è senza dubbio una delle liriche più famose della letteratura latina. Il componimento è strutturato come un invito alla bella e giovane Leuconoe a non cercare di scoprire cosa le riserva il futuro ma a godere del presente (il tema del carpe diem). Nella parte iniziale della lirica, Orazio suggerisce alla ragazza di non interrogarsi sul suo destino, a non riporre fiducia o speranza in ciò che deve ancora avvenire:

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios temptaris numeros.

Tu non chiedere, sapere è vietato, quale fine gli déi hanno concesso a me e a te, Leuconoe, e non tentare gli oroscopi di Babilonia.

Il messaggio è chiaro: non bisogna sapere ciò che ancora è fuori dalla portata umana. L’espressione scire nefas tematizza il divieto della conoscenza. Il sostantivo indeclinabile nefas indica propriamente ciò che non è fas, ossia rispettoso della volontà divina in linea con le norme etico-religioso. Emerge anche in questo caso un freno alla curiositas imposto dalla divinità: l’uomo non può (e non deve) sapere quale destino gli riservano gli déi. Perché “sapere è vietato”? L’invito oraziano è volto a non affannarsi per il futuro e a non angustiarsi nell’eterno tentativo di scoprire in anticipo cosa il domani porterà: le curae (“preoccupazioni”) umane si manifestano quotidianamente nella ricerca della conoscenza e portano l’individuo a soffrire. Il poeta suggerisce di “cogliere l’attimo” e di sperare quanto meno possibile nel futuro desiderando l’imperturbabilità del saggio (atarassia) e l’assenza di emozioni (apatia). L’uomo deve ambire ad un ripiegamente verso il presente, abolendo la spes (“speranza”) e la curiositas che portano conseguenze negative.

Al termine di questa brevissima rassegna possiamo notare quanto già in antichità la curiosità fosse un qualcosa che, per citare Ruggeri e la Berté, “rende tutto difficile”.

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