“Captain America” svela il segreto dell’eterna giovinezza: ecco come sopravvivere sepolti tra i ghiacci

Steve Rogers è sopravvissuto per settant’anni, congelato tra i ghiacci dell’Oceano Artico. La domanda da porsi è, ci sono altri come lui?

É stato un brutto scherzo del destino? Forse! Subito dopo essere diventato Captain America, Steve Rogers sacrifica la sua vita per il bene della sua nazione, rimanendo intrappolato tra il ghiaccio per ben settant’anni. In questo articolo, vediamo quali segreti si celano tra le sconfinate calotte e quali organismi invisibili le abitino.

Captain America

Il tanto amato Steve Rogers, alla fine di “Captain America: The First Avenger”, riesce a sconfiggere Teschio Rosso, anche se a un salatissimo prezzo. Facendo schiantare la nave su cui si trova al largo delle coste della Groenlandia, non perde solo la sua vita, ma anche il futuro che avrebbe potuto avere con Peggy, la sua amata.

In realtà, gli amanti della saga cinematografica (e non solo quella) sapranno già che l’uomo a stelle e strisce non è affatto morto durante l’impatto. Lo SHIELD, infatti, ritrova lui, la nave e il suo scudo intatti, qualche decina di anni più tardi. La risposta su come Steve sia riuscito a sopravvivere così a lungo, sepolto tra i ghiacci, arriva direttamente dalla Marvel.

La spiegazione risiede nel siero del super soldato: il sangue di Steve Rogers è diventato più denso senza però congelarsi. Secondo la definizione di abbassamento crioscopico, una soluzione congela ad una temperatura più bassa, rispetto a quella a cui congelerebbe il solvente puro. La maggiore concentrazione di glucosio nel sangue di Captain America ha permesso al fluido di non ghiacciare (ma solamente di addensarsi) e quindi di minimizzare al massimo il metabolismo, senza però arrestarlo completamente.

I tardigradi (Orsetti d’acqua)

Sono metazoi della lunghezza di un millimetro e sembrano avere dei superpoteri. A differenza della maggior parte degli altri animali, sono in grado di sopravvivere in condizioni davvero estreme, mettendo in atto diverse, e alquanto peculiari, strategie difensive.

Se la cavano anni in mancanza d’acqua, in presenza di alte radiazioni e in un range molto vasto di pressioni. Sopravvivono in mancanza di ossigeno e resistono anche al vuoto dello spazio. Interessante ai fini di questo articolo è però la loro capacita di sopravvivere sia a temperature molto alte (anche 150 °C) che a temperature molto basse (anche fino a -200°C).

Se la notizia che questi animali siano in grado di salvare la pelle durante il congelamento potrebbe non essere sorprendente, lo è invece pensare la loro capacità di tornare in vita anche dopo decenni. Questi metazoi sono, scherzosamente (ma in realtà non tanto), paragonati anche alla Bella Addormentata e sembrano non invecchiare mai!

Dato che l’invecchiamento cellulare è strettamente legato ad una alta attività metabolica, se i tardigradi entrano in uno stato “dormiente” a temperature estremamente basse (e quindi preservandosi durante stadi di congelamento), il gioco sembra essere fatto! Anche se il paragone tra Captain America e questi animali potrebbe sembrare impossibile, non è per nulla scontato.

Un nuovo record

Se i tardigradi sembrano essere invincibili, i vermi dei ghiacci siberiani potrebbero essere sul punto di sottrarre loro il titolo. Trent’anni (il record di sopravvivenza per gli orsetti d’acqua) infatti sono nulla in confronto a quarantaseimila trascorsi congelati. Questi vermi appartengono ad una specie finora sconosciuta e sono stati riportati in vita dopo un decisamente lungo sonnellino.

Il segreto che sta alla base della loro straordinaria longevità si trova nel DNA e codifica per un processo chiamato criptobiosi. É un particolare stadio metabolico in cui tutte le funzioni vitali diminuiscono o addirittura si fermano (per questo viene anche definito stadio ametabolico).

La loro scoperta risale al 2018 ma è solo negli ultimi tempi che gli studi e le datazioni sembrano aver portato a dei risultati più attendibili. Tra i due esemplari rinvenuti nel ghiaccio siberiano, uno sembra addirittura appartenere ad una nuova specie non ancora classificata. L’individuo è stato chiamato Panagrolaimus kolymaensis, in onore del fiume Kolyma, luogo del ritrovamento.

Vita tra i ghiacci

Nonostante le calotte ghiacciate possano, ad una prima occhiata, sembrare completamente prive di qualsiasi forma di vita (tralasciamo ovviamente pinguini, orsi e foche che per primi ci saltano in mente), non è affatto così!

Le maestose colonne ghiacciate dell’Antartico ospitano numerosissime comunità di piccole alghe (autotrofe ed eterotrofe), batteri, protozoi e anche alcuni metazoi dalle dimensioni molto piccole. Si sono addirittura registrate popolazioni con concentrazioni di milioni di organismi al litro.

La prima e più importante prova dell’esistenza di popolazioni algali attive superficiali, interne e di fondo nelle calotte, deriva da una mera osservazione macroscopica. La presenza di comunità è infatti verificata dalla colorazione vivace del ghiaccio, in particolare dove si ha la maggior concentrazione di sali inorganici espulsi dai cristalli, durante la formazione del ghiaccio. È a livello di queste “brine” che si ha la maggior attività metabolica.

In autunno, le alghe vengono incorporate nella colonna ghiacciata al momento del congelamento dell’acqua marina. Gli organismi, poi, sopravvivono fino alla primavera successiva e, a seconda che siano autotrofi o eterotrofi e dalla strategie messe in atto, riescono a rimanere attivi anche nei periodi di oscurità.

Nuovo rischio di pandemie

Tra i rischi intrinsechi legati al riscaldamento globale non va dimenticato lo scioglimento dei ghiacciai. Oltre all’enorme perdita di acqua dolce, l’innalzamento delle temperature potrebbe scatenare anche delle nuove pandemie.

Nel permafrost, infatti, sono stati ritrovati batteri, ma anche virus, antichissimi, la maggior parte dei quali (circa il 98%) è sconosciuta alla scienza moderna. Con lo scioglimento dei ghiacci, questi patogeni potenzialmente pericolosi per l’uomo, sono in grado di arrivare alla terra ferma e confluire praticamente ovunque.

Quasi fosse un caso, sono proprio i ghiacciai perenni della Groenlandia quelli a maggiore rischio, in quanto si sciolgono ad un tasso più elevato rispetto a quelli antartici.

Tenendo presente che lo scioglimento dei ghiacci crea nuovi habitat disponibili per la fauna, ciò rende questi luoghi estremi compatibili con la vita. Un possibile spillover (trasmissione patogeno – animale – uomo) è quindi da tenere in seria considerazione. Nonostante i lati negativi siano più evidenti di quelli positivi, non c’è comunque da escludere la possibilità che i batteri e i virus che si stanno “scongelando” riescano a dare una mano nella ricerca medica.

Il primo uomo in ibernazione

Fantascienza? Assolutamente no! Fu James Bedford il primo uomo ad usufruire della crio – preservazione del suo corpo, dopo la sua morte. Tutt’oggi, dopo ben cinquantasei anni, la sua persona è ancora conservata a Scottsdale, in Arizona.

Nonostante il “congelamento” non preservi il deterioramento di un organismo e le possibilità di tornare in vita siano praticamente nulle, sembra essere molto lunga la lista delle persone che vogliono usufruire di questa tecnica di conservazione. In particolare, il primo italiano di cui si conosce la storia a essersi fatto ibernare fu Aldo Fusciardi, nel 2012.

Sono tre le principali società che offrono il servizio: due sono americane, la Alcor e la Cryonics, e una è russa, la KrioRus. A prescindere da tutto, e senza considerare gli elevatissimi costi per sottoporsi alla procedura, chissà, magari in un futuro non troppo lontano, la scienza capirà davvero come riportare in vita le persone!

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