La memoria della fondazione.
21 aprile 2019: come ogni anno la Capitale è in festa. Tra parate, musica ed eventi museali i cittadini si riuniscono in occasione del Natale di Roma. Giovani vestali danzanti al ritmo della musica dei cembali precedono i soldati e i condottieri che attraversano in trionfo via dei Fori Imperiali. Per quattro giornate i gladiatori ricominciano a combattere nelle arene, il fuoco sacro di Vesta torna ad ardere e matrone e patrizi riprendono a passeggiare per le strade della Città Eterna. Roma si veste ancora una volta del suo antico splendore, memore di quella giornata di 2772 anni fa che cambiò per sempre le sorti del mondo: il 21 aprile del 753 a.C. Romolo fondava la Capitale.
Perché il 753 a.C.?
Datare con precisione l’anno di fondazione di Roma: un’impresa ardua che da più di due millenni impegna le menti di storici e letterati. Un’antichissima tradizione sigillata da Dionigi di Alicarnasso in ‘Storia di Roma arcaica‘ colloca la nascita della capitale in un periodo che va dalla fine del IX secolo a.C. alla prima metà dell’VIII. La datazione tradizionale, in vigore dall’età di Claudio, deriva però dal computo di Marco Terenzio Varrone. Il letterato latino risalì a partire dal 509 a.C., attraverso più di duecento anni di monarchia, al primo re di Roma: Romolo. Ma chi era costui?
Romolo e Remo.
Ci troviamo alle pendici del Colle Palatino, in prossimità dell’altura del Germalo. Qui, di fronte al luogo che un giorno vedrà sorgere il Foro e il Campidoglio, una cesta trasportata dalla corrente del Tevere si adagia sul suolo paludoso. Dal suo interno provengono i vagiti di due neonati: sono Romolo e Remo, abbandonati alle acque del fiume dal perfido zio Amulio che vuole conquistare il trono di Alba Longa. Una lupa e un picchio, attirati dagli strilli, accorrono in aiuto dei gemellini, nutrendoli fino all’arrivo del pastore Faustolo, che li adotterà. I due cresceranno spensierati nella loro casa sul Palatino fino a quando Remo non verrà catturato da alcuni briganti che lo condurranno al cospetto di Numitore, ex sovrano di Alba Longa.
Fondare una città.
Nel frattempo Romolo viene a conoscenza della verità: lui e Remo sono i legittimi eredi al trono, figli di Marte e Rea Silvia e nipoti di Numitore, spodestato da Amulio. Recuperato Remo, Romolo si occupa di uccidere lo zio tracotante e di restituire il potere a Numitore. Di ritorno sul Palatino i gemelli decidono di fondare una città. Presi gli auspici, Romolo si appresta a solcare il terreno con un aratro: quel solco indicherà il pomerium, confine sacro invalicabile. Quando Remo salterà sul pomerio per oltraggiare il fratello verrà immediatamente ucciso da Romolo, che diverrà primo re di Roma.
Il mito, dai tratti curiosi e grotteschi, ha origine dalla necessità di giustificare l’esistenza di una città come Roma. È assai improbabile che siano esistite figure come quelle di Romolo e Remo: essi rivestono piuttosto un ruolo simbolico nel quale i Romani si sono sempre riconosciuti.
L’abitante italico pre-cittadino e il cittadino romano.
Remo, gemello più anziano, incarna nel mito la figura dell’abitante italico prima della fondazione della città. Conduce le sue giornate tra i boschi dell’Aventino, si dedica alla pastorizia e venera divinità arcaiche tra le quali figurano la lupa ed il picchio, animali totem tipici della cultura romana arcaica. È l’alter ego di Romolo, il suo opposto. Contrario alla fondazione della città, tenterà di sabotare l’azione del fratello saltando sul pomerium: sa bene che quel taglio quasi chirurgico darà inizio ad una nuova era, quella cittadina, incompatibile con il suo mondo pastorale.
Dunque l’assassinio di Remo da parte di Romolo non è una punizione. Il gemello più giovane, simbolo della realtà cittadina romana, è guidato dalla necessità. Soltanto uno dei due fratelli potrà restare in vita. E avrà la meglio la realtà urbana, che col suo potere ingloberà i clan arcaici presenti nell’Italia centrale arcaica.
Il “muro di Romolo”
Storicamente è assai improbabile che siano esistite le figure di Romolo e Remo. Eppure, a conferma della vicenda mitica, alcuni scavi del 1988 condotti sul colle Palatino hanno portato alla luce i resti di un’antica cinta muraria e di una palizzata. Si tratterebbe del “muro di Romolo” e del pomerium tracciato in corrispondenza del nucleo originario della città di Roma.
È dunque è probabile che nell’VIII secolo a.C. sia esistito un sacerdote eponimo chiamato Romolo che avrebbe provveduto alla fondazione di una città a partire da un agglomerato di villaggi sul colle Palatino. Il nome di Roma, tuttavia, non deriverebbe dal fondatore Romolo ma da “ruma” (“mammella”, nel senso di “collina”), o dal latino arcaico ‘Rumon‘, termine che indicava il fiume Tevere.
Molto più di un mito.
Ma ciò che veramente conta non è la veridicità del mito: i Romani credevano veramente in quella che ai nostri occhi appare soltanto come una banale storia. La leggenda dei gemelli di Alba Longa era per ogni cittadino la dimostrazione della grandezza di una città figlia di una stirpe divina. Roma ha creduto così fermamente nel suo mito di fondazione da tramandarlo intatto fino ai giorni nostri in una tradizione millenaria che nei secoli continuerà a costituire l’identità di ogni Romano.
Daniela Ruvolo.