Bukowski: una crudezza senza poesia

Al giorno d’oggi sempre più spesso si tende a confondere il ‘successo’ di un’opera con il suo ‘valore artistico’. Scrivere letteratura è difficile, è faticoso; leggerla è arduo, talvolta doloroso. È per questo che la società odierna, in perenne fretta e in eterna corsa contro il tempo, tende a privilegiare la scrittura spicciola, la lettura rapida che offre trame in cui sia facile identificarsi o che rispecchino la vita che, oggi, nessuno ha più il tempo (o il coraggio) di vivere. Ma lo statuto di letterarietà e il valore di un testo sono sempre correlati al successo che questo è in grado di ottenere, anche presso un pubblico ampio?

L’opera come specchio della vita

Charles Bukowski, anche conosciuto come Henry Chinaski suo narcisistico alter ego letterario nato dal romanzo quasi autobiografico ‘Post Office‘, è stato un celebre poeta e scrittore. Di origine tedesca, si trasferisce da piccolissimo negli Stati Uniti dove passerà il resto della sua vita, trascorsa all’insegna dell’eccesso. Privo di un lavoro fisso, di stabilità economica ed affettiva, in seguito alla morte del suo unico, vero amore troverà sfogo nell’alcol e nel fumo, nella droga e nel sesso. La sua opera riflette la sregolatezza della vita reale, espressione di una Weltanschauung che vortica attorno all’annichilimento e all’auto-distruzione. In essa trova spazio tutto ciò che è radicalmente anti-sociale, al punto che qualcuno ha pensato di parlare, in proposito, di ‘nichilismo (inteso come la distruzione di tutto ciò che la società assume come valore) americano’. I temi affrontati da Bukowski, che lo ascrivono di diritto tra i rappresentanti del cosiddetto Realismo Sporco, non sono poi così innovativi come comunemente si ritiene: le descrizioni dettagliate di vite degradate dalla droga, molto ricordano lo squallore esistenziale della società ottocentesca dei bassifondi così sagacemente descritta dal naturalismo francese; il fluire di smodatezza ed eccessi dalla vita all’opera non sono distanti dall’operazione già magistralmente affrontata dai poeti maledetti o dagli scapigliati italiani; la prosaicità della poesia, priva di bagliori geniali, non è lontana da quella ben superiore dei crepuscolari; crudezza, cinismo e dolore della sua scrittura sono quelli già raccontati dal Dostoevskij de ‘Le memorie del sottosuolo‘ (e numerose altre opere), con la non sottile differenza che Bukowski le ostenta con trivialità incontrollata mentre Dostoevskij ce le rivela con la fluidità leggera, ma pregnante ed invadente, di vele spiegate al vento. Perfino il suo rifiuto di un’etichetta, la sua pretesa di originalità assomiglia al gesto, dubbiosamente ‘artistico’, di innumerevoli altri autori.

Analisi dello stile

Lo stile di Bukowski risponde ad un unico imperativo: nitidezza. Il linguaggio è carnale, concreto, duro e cinico, volgare talvolta fino ai limiti della grossolanità. Sia la prosa che i versi sono alquanto sciatti: non c’è cura ritmica né attenzione ad armonia ed equilibrio; lo stile è spezzato, ricco di costruzioni tipiche del parlato, di incisi e di frasi brevi che danno forma alla cifra stilistica del suo successo, la semplicità. Per quanto gli elementi caratteristici dello stile di un autore debbano essere difesi in nome della sua originalità, questo non significa che tutto sia accettabile, perlomeno quando l’autore in questione ha la pretesa di scrivere un romanzo, un racconto, una poesia… Insomma: qualsiasi cosa che ardisca di essere considerata letteratura. L’esempio migliore per comprendere questo concetto è rappresentato dall’opera di Pasolini, autore assai propenso ad accogliere nel romanzo i tratti caratteristici del parlato e il largo utilizzo del dialetto. Tuttavia, al contrario di Bukowski, le cui opere sembrano più appunti frettolosi di una crudezza senza poesia che non lavori attentamente e accuratamente cesellati e bilanciati, il realismo di Pasolini si serve largamente del dialetto romanesco all’interno di un sistema linguistico strutturato su tre piani in cui sono accolti anche una lingua frammista di italiano ed elementi dialettali e l’impeccabile linguaggio dell’autore. Inoltre la prosa dell’autore italiano è dinamica e agile, priva di tutte le grossolanità dello scrittore americano, e i suoi versi sanno essere duri e cinici senza dimenticare la poesia.

I motivi del successo

Alla luce di tutto ciò si può concludere che il motivo del successo di Bukowski non è di certo dovuto alla sua genialità letteraria né all’innovatività dei suoi contenuti, quanto, semplicemente, al fatto di essere stato l’autore giusto al momento giusto. Le generazioni del secondo dopoguerra, private di una guida etica e di valori in cui fosse possibile riconoscersi, i giovani della nostra epoca, lungo strascico di un decadentismo che non accenna a tramontare, amano Bukowski per la facilità con cui si rispecchiano nelle sue opere e si identificano nei suoi personaggi, di cui invidiano la sregolatezza di una vita che, per fortuna, non tutti loro hanno realmente intenzione di vivere. Il successo di Bukowski è duraturo perché duraturo è il fascino sinistro dell’alcol, della droga, del sesso, dell’eccesso. Perché semplice e rapida è la denuncia di una vita ai margini della società, attuata la quale fa sentire tutti i suoi attanti un po’ migliori. Il successo di Bukowski è duraturo perché suscita emozioni e, se il suscitare emozioni è prerogativa assoluta dell’arte, bisogna tener conto che la letteratura è un suo sottoinsieme e il fatto che essa provochi emozioni è una condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché uno scritto sia letterario. Un testo può essere un’opera d’arte senza essere letteratura.

Maria Chiara Litterio