Ci fu la tempesta solare più forte mai registrata dagli astronomi 160 anni fa, così forte che ci furono le aurore boreali alle Hawaii. Un tale fenomeno oggi potrebbe rivelarsi letale.
Il 1 settembre del 1859 due astronomi inglesi, Carrington e Hodgson, hanno osservato la formazione di macchie solari particolarmente brillanti, scomparse del tutto dopo soli 5 minuti. Il giorno dopo, poco prima dell’alba, i cieli della Cuba, delle Bahamas, della Giamaica, dell’El Salvador e delle Hawaii si colorarono di rosso sangue a causa di intense e variopinte aurore. La causa di un tale fenomeno era sicuramente da attribuire a quello osservato il giorno prima da Carrington. Ci fu infatti un’intensa espulsione di massa coronale che investì la Terra, generando la più forte tempesta geomagnetica mai registrata. Perfino a Roma sono arrivate le luci che molti di noi sogniamo di vedere almeno una volta nella nostra vita. Ma come si formano le aurore e perché dobbiamo preoccuparci di queste sfavillanti luci apparentemente innocue?
Genesi delle aurore
Come prima cosa, dovete sapere che la Terra ha una magnetosfera, cioè una regione in cui il campo magnetico terrestre è particolarmente intenso. Il campo magnetico terrestre ha una forma molto particolare, quella di una ciambella (toro nella terminologia matematica) con due buchi al Polo Nord e Sud, e funge da scudo protettivo che si estende nello spazio per circa 64000 km. È l’unica cosa che fa sì che la nostra atmosfera non venga strappata dai famosi venti solari. Quest’ultimi sono dei plasma, ossia particelle ad alta energia, alta velocità e altissima temperatura, sottoprodotti della fusione nucleare dentro il Sole. Questi venti sono molto forti. Deformano la nostra magnetosfera, schiacciando la parte che si affaccia al Sole estendendola in lunghe code nella parte opposta.
La magnetosfera ‘cattura’ queste particelle energetiche e iniziano a scorrere lungo le linee del campo magnetico, per arrivare poi ai due Poli, entrando in contatto con la nostra atmosfera attorno ai buchi della ciambella. Più grande è il buco, più grande sarà la regione dove le aurore si formeranno. Più forte è il vento che ci colpisce, più la ciambella si deformerà e più grandi saranno i buchi. Detto questo, le particelle ad alta energia colpiscono le molecole dell’atmosfera, eccitandole e portando i loro elettroni ad un livello energetico superiore. Siccome questa configurazione è instabile, gli elettroni tendono a scendere nel loro livello originario e nel fare questo emettono fotoni, cioè luce. E voilà, abbiamo le nostre aurore boreali/australi. I colori dipendono dalle molecole colpite: 99% dell’atmosfera terrestre è formata da ossigeno, che produce luci rosse, verdi o gialle, e d’azoto, che produce luci blu. È così che si genera lo spettacolo di luce che ha stupefatto l’umanità per secoli. Di per sé queste luci non portano alcuna minaccia. Sono i venti solari e le espulsioni di massa coronali, se particolarmente intensi, quelli pericolosi per la nostra civiltà tecnologica odierna. Vediamo il perché.
La minaccia delle tempeste solari
Torniamo all’evento del 1859. Gli hanno dato un nome, in onore di uno degli astronomi che l’hanno documentato: “l’Evento di Carrington”. Povero Hodgson. Qualche volta la vita ti va proprio contro… Le bellissime aurore sopra descritte sono solo uno dei tanti effetti che l’eruzione solare provocò quel giorno. Gli altri effetti riguardarono i fili di trasmissione per i telegrafi elettrici e le prime reti elettriche: furono sovraccaricati e iniziarono a bruciare e a non funzionare più. Gli operatori dei telegrafi sentirono pure delle scosse dalle loro macchine e i fogli presero fuoco. Cosa era successo? Si crearono delle correnti di induzione molto intensi e i fili non riuscirono a sopportare una tale tensione. Quando un intenso vento solare colpisce la nostra magnetosfera, quest’ultima inizia a ‘scuotersi’ e quando vi è un campo magnetico variabile nel tempo, si genera corrente. 160 anni fa non era un grande problema, perché le reti elettriche non erano ancora di largo uso. Immaginate una tempesta solare oggi, quando la maggior parte delle cose che ci circondano sono oggetti elettronici con fili minuscoli al loro interno. Tutta la nostra civiltà tecnologica odierna dipende dai fili: dalla centinaia di satelliti che orbitano intorno alla Terra, da cui dipendono le nostre comunicazioni e navigazioni, alle nostre case e posti di lavoro, connessi fra loro da enormi reti elettriche. Aerei, macchine, smartphone e questo computer che sto usando per scrivere l’articolo sono elettronici o sono controllati da elettronici. Pensate che stia esagerando? Abbiamo avuto un piccolo assaggio di quello che potrebbe accaderci, quando nel marzo del 1989 fummo colpiti da un’eruzione solare meno forte di quello del 1859 ma comunque abbastanza potente per creare effetti non piacevoli sulla Terra. La quasi totalità della rete elettrica nordamericana fu messa sotto dura prova e l’intera rete elettrica della regione del Quebec non riuscì a sopportare un tale carico e fu resa inoperante. Per 12 ore, con l’inverno rigido canadese, l’intera provincia non ebbe nessuna elettricità. Era il peggior momento per perdere il riscaldamento.
Poi nel 2012 un vento solare potente quanto quello di Carrington ci ha sfiorati di soli 9 giorni. Una tempesta geomagnetica di quelle entità ci costerebbe all’incirca 2 trilioni di dollari e un lasso di tempo che potrebbe arrivare a diversi anni per rimettere tutto a posto. Mesi, o anche anni, senza elettricità, senza telefono, senza GPS e senza WiFi… È abbastanza facile comprendere la portata delle conseguenze che potrebbero derivare da una catastrofe del genere. È difficile proteggere le nostre infrastrutture da potenti venti solari. L’unica soluzione a cui hanno pensato è quello di monitorare l’attività solare: nel caso venisse emesso un vento solare molto potente, verrebbe mandato, da un satellite, un segnale sulla Terra. Avremo un tempo molto limitato per prepararci e mettere in atto i piani nazionali per proteggere le infrastrutture, cioè circa 12/15 ore. Verranno spente intere reti elettriche e satelliti: questa soluzione necessità però di una perfetta coordinazione del governo e delle industrie private. Fortunatamente i paesi hanno iniziato a considerare seriamente il problema e negli Stati Uniti esiste già un disegno di legge, chiamato Space Weather Research and Forecasting Act (2017), volta a migliorare l’osservazione solare e la coordinazione della risposta nazionale a un evento come quello di Carrington.
Kerby Dimayuga