Oggi non è solo la festa delle Forze Armate. Il 4 Novembre infatti è una ricorrenza molto importante per Firenze, poiché nel 1966 lì avvenne la più devastante alluvione di sempre dell’Arno. Da allora il monitoraggio e la messa in sicurezza del fiume hanno fatto passi in avanti, ma tutto questo spinge a chiedersi quale sia il rapporto che noi uomini abbiamo con la natura. In tal senso infatti c’è chi pensa che la natura si voglia riprendere ciò che è suo e che ce la stia facendo pagare, mentre altri si credono superiori ai fenomeni naturali.
Dinamica e bilancio dell’alluvione
Dopo diversi giorni di piogge ininterrotte, il 4 Novembre 1966 l’Arno ruppe gli argini a Firenze a partire dalle prime ore del mattino. Nelle zone colpite il fiume raggiunse dei livelli record, con un’altezza di quasi sei metri nelle zone di San Donnino e Brozzi. La prima parte colpita fu Piazza Mentana, in cui l’acqua affiorò dalle fogne. A metà giornata cominciarono ad arrivare le prime vittime confermate, mentre l’alluvione era al suo apice. In questo frangente fu colpito e danneggiato anche il patrimonio artistico fiorentino, tra cui Santa Croce e la Biblioteca Nazionale Centrale. Verso sera l’Arno iniziò a tornare nel suo corso, lasciandosi alle spalle un bilancio drammatico. Ci furono infatti 35 vittime in tutta la provincia, delle quali 17 a Firenze e 18 negli altri comuni.
Cosa suscitano in noi le calamità?
Quando accade un evento catastrofico, come un’alluvione, la prima sensazione che abbiamo è quella di non sentirci al sicuro. Succede infatti di sentirsi vulnerabili e di avere paura che un evento simile possa verificarsi di nuovo. C’è chi esagera anche in questo caso, poiché non ha molto senso credere che la natura si stia scatenando così dal nulla. In tal senso i mass media giocano un ruolo importante, poiché si ha la tendenza ad ingigantire ciò che potrebbe avvenire. Spesso infatti si leggono termini come bomba d’acqua, che da un punto di vista scientifico non stanno in piedi: sarebbe più corretto parlare di una forte pioggia. Tutto questo porta ad un panico costante e ad un fatalismo esasperato, come se la fine del mondo fosse dietro l’angolo. In realtà le calamità ci sono sempre state e non sono peggiorate, è la percezione che abbiamo ad essere sbagliata.
Senso di superiorità: l’altra faccia della medaglia
Se i fenomeni estremi ci portano al fatalismo, lo sfruttamento della natura e dei suoi mezzi invece suscita un senso di superiorità. È come se si avesse la sensazione di impunità, anche se tutto ha delle conseguenze. Un esempio è il disboscamento: si abbattono molti alberi, ma il terreno diventa più cedevole e aumenta il rischio di frane. Anche la costruzione di centri troppo grandi in situazioni critiche non aiuta, poiché ci si espone al pericolo. A Bernkastel-Kues, in Germania, l’alluvione è un evento frequente poiché l’argine della Mosella è molto basso. Bisogna quindi prendere delle contromisure adeguate in queste situazioni, ma questo non sempre accade. Per essere più precisi, accade in caso di tragedia. È una mentalità sbagliata, perché non deve per forza scapparci il morto prima di fare qualcosa di concreto. Prevenire è meglio di curare, ma a quanto pare non sempre funziona così.
Matteo Trombi