Salvador Allende: storia di un golpe “democratico”

Salvador Allende durante un comizio della campagna elettorale

Alla vigilia del golpe

Salvador Allende fu eletto presidente della Repubblica il 3 settembre 1970, dopo che il Congresso nazionale cileno, in accordo con la Costituzione, votò per l’approvazione della maggioranza relativa ottenuta da Allende (36,3%), a discapito del conservatore Alessandri Rodrìguez (35,8%), e di Radomiro Tomic, cristiano-democratico (27,9%).

Come candidato di Unidad Popolar, coalizione formata da socialisti, comunisti, radicali e cattolici di sinistra, Allende intraprese quella che chiamava “La via cilena al socialismo”, ovvero l’attuazione di politiche marxiste attraverso la via democratica, ponendosi comunque come obiettivo finale il superamento del capitalismo e l’instaurazione di una società comunista.

Dalla nazionalizzazione delle principali industrie private, in particolare delle miniere di rame fino ad allora sotto il controllo di aziende statunitensi, all’approvazione di una riforma agraria per la redistribuzione dei terreni, le politiche di Allende non ci misero molto ad irritare la media e alta borghesia, e a creare dissenso internazionale. Oltre alle riforme economiche che comprendevano anche l’aumento dei salari e il prezzo fisso del pane, il governo Allende introdusse nuove politiche nel campo sociale e culturale tra cui la legge sul divorzio, la costruzione di case popolari, incentivi all’alfabetizzazione e la concessione del voto allargata ai maggiori di 18 anni.

Inoltre il ripristino dei rapporti con Cuba, nonostante l’embargo americano, e la profonda amicizia che Allende aveva stretto con Fidel Castro, contribuirono ad aumentare le voci dei Cristiano-democratici, secondo i quali Allende stava conducendo il Cile verso un regime dittatoriale, prendendo come modello il governo cubano.

Salvador Allende e Fidel Castro

La crisi

Gli effetti della redistribuzione della ricchezza videro l’aumento della quota salariale dal 51,6% al 65%, e l’incremento della spesa media personale dal 4,8% al 12%, ma ciò non fermò l’inflazione che nel 1972 raggiunse il 350%, soprattutto a causa della fuga di capitali derivata dalle nazionalizzazioni. In tutto ciò l’amministrazione Nixon cominciò ad esercitare una pressione economica sempre più crescente, sia legalmente con l’embargo, che illegalmente attraverso finanziamenti agli avversari politici, e nel 1972 attraverso l’appoggio economico erogato al sindacato dei camionisti, che paralizzò il paese.

Nonostante il governo Allende aumentava i suoi consensi, aveva vinto le amministrative di febbraio, stava realizzando il proprio programma e i dati macroeconomici erano in forte miglioramento, di fronte alla polarizzazione della politica cilena e alle manovre di destabilizzazione, il Presidente decise di indire un referendum sul suo governo, rendendosi disponibile a rinunciare a metà mandato in caso di risultato avverso.

Al di là del possibile risultato, il semplice annuncio  del referendum avrebbe delegittimato il golpe rendendolo impossibile. L’annuncio doveva essere dato il 10 settembre 1973. Ed è qui che entra in gioco la figura di Augusto Pinochet, nominato da poco nuovo Capo di Stato Maggiore, il quale insistette e fece accettare ad Allende di dare l’annuncio del referendum il 12 settembre, ovvero 24 ore dopo la data già prevista per il Colpo di Stato.

 

Augusto Pinochet

Interferenze dagli Usa

Fin dal 1961, con presidente John F. Kennedy, la Casa Bianca aveva interferito nella politica cilena per impedire che Allende arrivasse alla presidenza. La cosa era riuscita nel 1964, fallì nel 1970. Il clima della Guerra Fredda aveva già scatenato la “crisi cubana” con la “concessione” del governo Castrista come l’unica eccezione al patto di Yalta, che divideva in due blocchi politici il globo terrestre. Ciò non permetteva agli Usa di mollare un’altro stato sudamericano sotto l’influenza sovietica, a maggior ragione se questo significava andare contro gli interessi commerciali delle multinazionali in America latina.

Il golpe non fu la conseguenza del caos o della sconfitta della guerriglia. Avvenne in un paese ordinato, governato nel rispetto della Costituzione e sostanzialmente in pace. La ricerca di interlocutori golpisti nell’esercito e nell’aristocrazia cilena da parte della CIA è attestato in innumerevoli documenti cominciati a pubblicare da Washington fin dal 1975.

La “Battaglia della Moneda”

Salvador Allende e gli uomini del GAP durante la Battaglia della Moneda

Al golpe non era stata preparata alcuna resistenza armata. Davanti alla Moneda vi erano soltanto i piccoli apparati militari di tutti i partiti di Unidad Popolar. L’11 settembre i partiti mancarono agli obiettivi limitati alla difesa della Moneda e alla scorta dei dirigenti verso rifugi sicuri. Allende rimase così con alcuni uomini nella Moneda senza alcun appoggio esterno, mentre la popolazione fu invitata a restare a casa. Allende rinunciò ad un aereo per lasciare il paese con la famiglia dichiarando: “Mi comporterò da soldato, saprò compiere il mio dovere come Presidente della Repubblica”.

Intanto la situazione precipitava velocemente, e già alle 9 del mattino tutte le Forze Armate, sotto il comando di Pinochet, iniziavano a circondare il palazzo presidenziale. Il colpo di stato era nelle sue fasi cruciali e l’esperimento del socialismo cileno si stava consumando nel sangue, e con esso le speranze di un paese intero. Con Allende si trovavano poche decine di collaboratori, dei quali una ventina erano combattenti dei GAP (Gruppo Amici del Presidente), in grado di tenere in scacco l’esercito per qualche ora.

Nonostante la pesantezza del fuoco nemico, gli unici due morti della “Battaglia della Moneda” di parte socialista furono due suicidi, Augusto Olivares e Salvador Allende.  Quando verso l’una i militari entrarono a la Moneda, Allende ordinò ai suoi la resa, mentre lui rimase indietro. Il presidente rivoluzionario, che fece la rivoluzione senza sparare un colpo, per la prima volta sparò. Suicidandosi.

 

Antonio Tedesco