LA POLITICA COME CONFLITTO
Il termine politica, dal greco “ta politikà”, ovvero “le cose della polis”, ha al suo interno il tema pol-, presente nell’aggettivo “polus”, che significa molti, ma soprattutto nel sostantivo “polemos”, che significa conflitto, guerra. Se “polemos è padre di tutte le cose”, come dice Eraclìto, allora anche la politica, alla fine, non potrà prescindere dal conflitto. Cosa si intende però per conflitto? Non si sta chiaramente parlando della becera diatriba politica che infuria soprattutto in questo periodo, essa è solo un parente lontano del polemos originario e fondativo della politica. Senza dubbio questo pseudo-polemos produce un “ravvivamento delle nostre facoltà”, direbbe Kant, tale da predisporci a cogliere in maniera più rapida il vero polemos, che è alla base non delle politiche dei vari partiti o dei vari stati, ma dell’idea stessa di politica. Il grande polemos, la grande battaglia che è alla base della politica è perfettamente messa in luce, seppur probabilmente in maniera inconsapevole, da Platone nella “Repubblica”. Platone prima di delineare i tratti della “kallipolis”, della città ideale, deve porre un ordine, prima che sociale, interno all’anima: ecco che già da Platone possiamo notare che il grande dualismo stia nel rapporto logos-fusis, soggetto-oggetto, io-mondo.
GLOBALIZZAZIONE E CONFLITTO
La politica si configura dunque come una trasposizione degli elementi razionali del logos alla sfera nella natura al fine da porre essa in un ordine, che sia conforme agli scopi del soggetto umano: il conflitto originario e fondativo è quello tra logos e fusis, tra controllabilità e incontrollabilità, tra sistema e ambiente. Il grande errore del sensus communis post-moderno e, soprattutto, dei critici della globalizzazione è stato aver creduto che la globalizzazione, con la sua reductio ad unum del mondo, avesse significato la fine di quel conflitto. In realtà le premesse della globalizzazione erano perfettamente poste dalla natura dualistica del conflitto tra io e natura: nella misura in cui il logos cerca di ridurre a sé la fusis, rendendola kosmos, regolandola attraverso delle leggi derivate dal logos stesso, allora cosa sta avvenendo se non la trasformazione in sistema dell’ambiente? Con sistema intendo, alla maniera dei fisici, un luogo-ambiente isolato dove regnano le stesse leggi. Nella misura in cui il mondo è globalizzato, ovvero ridotto a sistema, si ha la piena oggettivizzazione del rapporto che sin dalla “Repubblica” di Platone ha dato vita al mondo della politica. Quando si parla di morte del politico, si dovrebbe parlare piuttosto di “compimento”. Il politico si è “compiuto”, nel senso che ha fatto il suo: regolando il mondo in termini di sistema, e rendendolo governabile dal re-legge (Tucidide parlava di despotes nomos, legge despota) allora esso si è reso inutile.
COME USCIRNE?
Il problema da prendere in considerazione è che la parola sovranità, piaccia o no, è un qualcosa di intrinseco alla politica: non è possibile fare politica senza sovranità. Prendiamo per esempio l’Europa. Essa sembra essere stretta tra due morse, come se fosse tra l’incudine e il martello. L’incudine è quello che potremmo definire, con Cacciari, il “capitalismo politico”, dove i mercati possono decidere le scelte politiche di un paese. Il martello sono invece i vari sovranismi, che puntando sulle disuguaglianze battono sul ferro già surriscaldato dall’infelicità che il capitalismo politico ha portato. Se la lotta tra sovranismo e globalismo diventerà il nuovo bipolarismo della politica, allora saranno guai. Le forze che si definiscono progressiste devono scoprire che la parola “sovranità” non è una parolaccia, e affiancarla alla politica europeista: una sovranità politica europea, in grado di rivaleggiare con i grandi stati-continente (Cina, USA, Russia) è l’unica soluzione alla tendenza ottocentesca della “sovranità nazionale” e ai colpi incessanti del globalcapitalismo. Se non si capisce questa tendenza storica e geopolitica, allora non si potranno arginare i sovranisti, che, qualora si affermassero, renderebbero l’Europa un’entità astratta e frammentata che non potrà che crollare sotto i colpi della globalizzazione, dinamica che nessuno stato nazione, per quanto sovrano sia, può arginare