La presenza statale in tutti gli aspetti della società è una realtà accertata in Cina, fin dalla rivoluzione del ’49, quando il Partito Comunista Cinese realizzò i suoi sogni rivoluzionari e fondò la Repubblica Popolare Cinese. Il Partito, infatti, ha il potere di invadere tutte le sfere sociali che formano la nazione, dal possedere aziende al dettare quanti figli si possono e non possono fare. Per nulla un’iperbole, nel 1979 il governo, a fronte di sovrappopolazione e problemi di natura economica e ambientale, cominciò a teorizzare quella che è comunemente chiamata la ‘politica del figlio unico’. Il dibattito che ne è scaturito non ha un consenso univoco: c’è chi sostiene che abbia portato un certo sollievo all’impellente sovrappopolazione e chi fa notare come questa costrizione abbia distorto la proporzione fra i sessi nella popolazione cinese.
Difatti, si è preferito per tutti i 25 anni in cui tale politica era vigente (da un effettivo 1980 fino al 2015) avere figli maschi, per motivi culturali. Quindi, per non incorrere nella pesante tassazione imposta, il numero di aborti e di nascite non dichiarate è aumentato esponenzialmente negli ultimi 30 anni. Conseguentemente, la Cina si trova in una situazione in cui vi sono 118 bambini per ogni 100 bambine nati ogni anno, stimando un surplus di 24 milioni individui di sesso maschile entro il 2020. Da qui la notevole maggioranza di uomini ‘non sposabili’.
Nel substrato etico confuciano che regola la società cinese, non sposarsi e non permettere la continuazione della linea genealogica familiare è uno dei più grandi affronti che si possano fare verso i propri genitori. Questa ‘vergogna’ nel non essere sposati vale ugualmente sia per i figli che per le figlie. Ma la differenza giace nella stigmatizzazione della donna non sposata, conseguenza della frustrazione maschile. Negli ultimi anni sempre più donne reclamano la propria indipendenza nel decidere di non sposare qualcuno solo per non essere emarginate dalla famiglia. Ciò si aggiunge al già considerevole divario nella proporzione sessuale della nazione, creando un problema in più al governo. Fortunatamente, come per ogni problema, vi è il magnifico Partito a salvare la giornata.

“Infatti! (Ma se è gratis ne prenderei uno)”
Per l’intellighenzia centrale comunista, la soluzione alla distorta proporzione sessuale è quello di sensibilizzare le donne a non essere egoiste, di sposarsi e di contribuire alla grandezza nazionale, dando luce a un piccolo ‘compagno’ che possa un giorno contribuire alla magnificenza del Dragone. Tristemente ironico è il fatto che il maggior sponsor di questa linea di pensiero è la Women’s Federation, associazione fondata dal Partito stesso nel 1949 per proteggere e promuovere i diritti delle donne. Dal 2007 in poi, quest’associazione è stata la maggiore responsabile della diffusione di un termine estremamente derogatorio per le donne nubili per scelta: ‘shèngnǚ‘ (剩女), cioè una ‘rimanenza’, letteralmente una ‘donna in più’, ancora nubile dai 27 anni in su. L’obiettivo è chiaro negli articoli pubblicati: bisogna convincere quella porzione di donne single e con un’istruzione superiore a smettere di essere ambiziose e trovarsi un marito in fretta. Il seguente passaggio, estratto da Leftover Women Do Not Deserve Our Sympathy, pubblicato nel 2011, è cristallino sulla filosofia dell’associazione:
Le ragazze carine non necessitano di molta istruzione per sposare un marito appartenente a una famiglia ricca e potente, ma le ragazze non di bell’aspetto o nella media avranno molte difficoltà. Questo tipo di ragazze spera di accrescere la propria competitività ottenendo un’istruzione superiore. Ma la tragedia è che non si accorgono che con l’andare degli anni, la donna vale sempre meno. Quando avranno ottenuto la magistrale o il dottorato saranno già troppo anziane, come delle perle ingiallite.
In breve, sei bella? Non studiare, tanto qualcuno che ti mantiene lo trovi. Sei brutta? Muoviti a trovare qualcuno di appena decente prima di farti vecchia e anche più brutta. Comunque sia, l’istruzione femminile è inutile. Non a caso una barzelletta comune nel parlato cinese è che esistono tre generi: uomini, donne e donne col dottorato. Oltre all’umorismo, le shèngnǚ stanno diventando un argomento di moda sempre più di tendenza anche nella pop culture cinese. Compagnie televisive cinesi come la New York Shanghai Productions, finanziano la produzione di reality show e spettacoli di vario genere. Come il nuovo Leftover Women Escape, in cui sei concorrenti passeranno un periodo di ‘liberazione dei sensi’ in Italia, fra le cui attività ci sono ‘stimolanti sensuali’ come raccogliere l’uva, guidare macchine di lusso, ballare sulla spiaggia e molte altre.

È dovuto notare che, invece, uno dei video più visualizzati sul web vicino alla sensibilizzazione per l’indipendenza femminile, è stato girato e pubblicato da un’azienda giapponese, la SK-II, che ha anche lanciato il diffusissimo hashtag ‘#changedestiny’. Nel video vediamo come queste ragazze vengono sostanzialmente maltrattate verbalmente e psicologicamente dai propri genitori, terrorizzati dallo stigma sociale di avere una figlia non sposata. In una delle interviste una madre dice esplicitamente: “Abbiamo sempre pensato che nostra figlia avesse una grande personalità. [Ma] il suo aspetto è solo nella media, non è bella. Ecco perché è una ‘rimanenza’”. Tutto ciò in presenza della figlia che cercava di trattenere le lacrime. Oppure, in un altro momento, un padre riteneva che la figlia “fosse crudele” per aver deciso di sposarsi solo nel momento in cui lo vorrà. O peggio, i genitori usano affiggere la foto della propria figlia con tutti i suoi ‘punti di forza’ (se possiede un’auto, una casa, quanto guadagna al mese, etc.) in un mercato matrimoniale, di cui il più famoso è nel Parco del Popolo di Shanghai.
Attaccate dal governo attraverso le stesse piattaforme femministe, stigmatizzate dalla società e gettate nel senso di colpa dalla famiglia. Questa è la pressione che le cosiddette shèngnǚ devono sopportare nella loro vita. Ma oramai la Cina è estremamente diversa da quella conosciuto dalle vecchie generazioni. Pechino, Shanghai, Shenzhen e altre metropoli sono dei centri urbani ricchi e globalizzati, con uno skyline che fa invidia a Londra o a New York. Il flusso di beni e di denaro che c’è oggi in Cina ha creato una situazione in cui la gioventù non è più, almeno in parte, disposta a sottostare al conservatorismo delle vecchie generazioni. Il sempre più crescente contatto con le informazioni dal mondo esterno e la fin troppo efficiente politica del figlio unico, ha reso questa situazione una materia di primaria importanza per il Partito, che la sta gestendo estremamente male, costringendo la propria popolazione femminile a dei veri e propri soprusi psicologici.
Secondo Leta Hong-Fincher, l’ansia governativa di risolvere ‘la crisi delle donne surplus’ deriva anche dal fatto che il Partito mira a far accoppiare esattamente quelle donne intelligenti e con un’istruzione superiore che, al contrario, pretendono la propria indipendenza dal conservatorismo etico e confuciano. Ma il Partito continua ad affrontare ciò biasimando la donna nella sua scelta di essere un soggetto attivo della società, e non un suo oggetto. Un ultimo passaggio preso da Faced with a marital crisis, women need to improve themselves, sempre sul sito della della Women’s Federation, chiarifica questo mio ultimo punto:
Quando scorpi che lui ha una tresca potresti trovarti ad essere arrabbiatissima, ma devi sapere che se ti lamenti stai negando la ‘faccia’ [mianzi] al tuo uomo. […] Nessun uomo è capace di spendere una vita intera essendo fedele a una moglie fuori moda che non cambia mai. […] Prova a cambiare il taglio di capelli o i tuoi modi. Le donne devono cambiare costantemente per il meglio.
Su queste note, non aggiungo altro.
Marco Rossi