Studiare la memoria è un lavoro complicato. La costruzione del pensiero umano sembrava un processo ammantato nel buio completo. Nel corso dei secoli, molti sono stati i tentativi di comprenderne i meccanismi. Chi di voi va all’università avrà confidenza con molti che vendono corsi per il corso di studio e la memorizzazione. Il tema è ricorrente anche in molte serie TV, spesso con rappresentazioni spettacolari. In Sherlock, per esempio, si parla del palazzo della memoria. Popolarizzata dalla serie TV, questa tecnica, detta “dei loci”, risale all’antica Grecia. Una nuova ricerca rivela come questa visione possa essere incredibilmente vicina alla realtà
Muoversi tutti i giorni in uno spazio 3D immaginario
Due tipi di cellule nell’ippocampo si occupano di gestire l’orientamento quando siamo in movimento. La scoperta, prima nei topi e poi negli umani, è valso il Nobel nel 2014 a Edvard I. Moser. Queste cellule ci permettono di costruire uno spazio tridimensionale, mentalmente, nel quale orientarsi. Lo stesso scienziato cui valse il Nobel per questa scoperta, partecipa oggi in questo più recente studio assieme ad altri colleghi tedeschi e norvegesi, in uno sforzo congiunto.
La memoria e l’orientamento utilizzano gli stessi meccanismi
Il gruppo di Moser, frutto di una collaborazione tra l’istituto norvegese delle neuroscienze e istituto tedesco per le scienze cognitive umane, hanno provato ad applicare la scoperta alla memoria. Quando sottoposti ad esercizi di memoria, ai soggetti è stata misurata l’attività cerebrale. Nello specifico si cercava attività nell’ippocampo e della corteccia entorinale. Come detto prima, questo zone sono responsabili di una “mappa mentale 3d” nel quale muoversi.

Sorprendentemente, queste cellule erano molto attive anche durante i compiti di memoria. Secondo Doeller e Moser, il cervello organizza il pensiero in cosiddetti “spazi cognitivi”. I pensieri e i ricordi sarebbero quindi ordinati spazialmente, in maniera simile a come succede con gli spazi reali. Secondo i neuroscienziati, il modello sarebbe particolarmente utile per spiegare come interagiamo in situazioni simili a quelle vissute, ma non identiche. Inoltre, aiuterebbe a spiegare come il cervello umano sia così abile ad elaborare collegamenti tra vari argomenti e ricordi.
“[grazie a questo modello] Possiamo generalizzare situazioni nuove, che affrontiamo continuamente, e capire come dobbiamo comportarci”
-Bellmund, neuroscienziato coinvolto nel progetto