La formatività del silenzio

Il confine tra parola e silenzio è labile, tanto che sembrerebbero essere, apparentemente, facce diverse di una stessa medaglia e, forse, lo sono, ma in che modo? Sono davvero da reputarsi opposti?
In “Essere e Tempo”, opera cardine di Martin Heidegger del 1927, il linguaggio viene posto dal filosofo come “la casa dell’Essere”, elemento cardine della ricerca del filosofo tedesco. All’interno della riflessione sul linguaggio viene messo l’accento anche sul silenzio, visto non come elemento opposto alla parola, ma come grembo di essa: se la parola esiste, è perché nata dal silenzio, parte costitutiva del discorso, e sicuramente preferibile ed opposta alla chiacchiera.
Se nella chiacchiera tutto viene reso pubblico e ciò che “regna” è la disinformazione, sotto le false spoglie di un’ informazione vasta e che parla del “tutto”, nel silenzio autentico e poetico si preferisce il non parlare al parlare a sproposito. Ciò a cui mira il silenzio è preservare l’importanza del linguaggio e della parola, da intendersi come logos che, a sua volta, è per Heidegger, quel luogo in cui si cela la verità come a-letheia, disvelamento.
Il “parlar troppo” e di tutto della chiacchiera, non rende le cose più chiare, anzi le offusca, le confonde, facendo in modo che la verità non venga intensa come ciò che viene fuori da un nascondimento, ma come ciò che si adegua all’opinione dei più.

Naturalmente viene da se uno spostamento del discorso dalla riflessione heideggeriana sul linguaggio al ruolo che gioca l’informazione giornalistica per quanto riguarda la formazione di un’opinione personale, essendo il giornalismo il connubio, l’incontro, tra le due massime kantiane del “pensare da se” ed il “pensare al posto di ciascun altro”. Probabilmente ciò che rende la chiacchiera tale è una mal interpretazione della seconda massima che è stata intesa come fine a se stessa e non volta a quella terza massima del “pensare rimanendo pur sempre della propria opinione”: il “pensare al posto di ciascun’altro” non è da intendersi come un sostituirsi all’altro, ma come un porsi, prima di dire la propria idea, in una prospettiva diversa dalla propria, non rimanendo fermi e ciechi davanti ad una realtà che è multiforme.
Proprio qui gioca un ruolo fondamentale il silenzio, non da intendersi come mancanza di opinione, ma come metabolizzazione (da intendersi nel senso greco di metabolè come cambiamento) della propria idea, guardando un argomento da prospettive differenti dalla propria.
Se si può giungere ad una conclusione, ad un’opinione finale rispetto ad un discorso, è solo grazie al silenzio in quanto casa del discorso stesso. Si potrebbe parlare di una sorta di “formatività del silenzio” che, non solo si fonda sulla parola (propria ed altrui), ma che è anche scaturigine della parola stessa, in quanto è solo nel silenzio che la riflessione fonda le sue radici e può dispiegarsi non come “informazione chiacchierata”, ma come informazione che mira allo svelamento di una verità, in un’ottica al di fuori di una de-lusione generale che porti alla sovracitata formazione individuale.