Gli aspetti della dittatura

La dittatura è un fatto. Non si può negare la sua esistenza in paesi come, per esempio, la Corea del Nord, nè non percepirla, alle volte, anche nella vita di tutti i giorni. L’essere umano è fragile, ha bisogno di qualcuno che lo guidi. Si può dire che la dittatura sia stata una parte, seppur terribile, della storia italiana ora definitivamente debellata? O il germe della sua esistenza aleggia ancora indisturbato e si nutre delle paure e delle convinzioni del popolo? Che cosa si conosce della dittatura? Da cosa scaturisce un potere così violento da lasciare una scia di sangue dietro di sé legittimata dallo stesso popolo?

I territori favorevoli per lo sviluppo di una dittatura

A suo tempo, Adolf Hitler fece la sua comparsa sulla scena in un momento nel quale la Germania stava vivendo un periodo di crisi violenta. Conclusasi la Prima Guerra Mondiale e, dunque, essendo stata sconfitta, alla Germania erano state imposte, attraverso il Trattato di Versailles, delle condizioni di pace durissime. La Germania era sprofondata in un nero baratro a causa di una grande, grandissima vergogna che doveva essere riscattata. In Italia, Benito Mussolini si insinuò pian piano nello scenario politico. Si propose al popolo come un uomo in grado di poter dare al suo paese un riscatto attraverso metodi diversi e innovativi. Utilizzò quella che lui chiamò la Rivoluzione. Mussolini si mostrò forte e capace di saper amministrare il potere, il tutto condito da un’eccellente capacità oratoria, che persuase il popolo che la sua politica fatta di terrore, di violenza e imposizione fosse la strada giusta. Il fattore determinante? L’utilizzo di questi metodi sempre e comunque nel rispetto formale della legge. Analizzando queste due figure si individuano tre fattori cruciali per la nascita della dittatura: crisi, consenso popolare e rispetto (almeno apparente) della legge. Il fattore determinate e scatenante è la crisi. La crisi getta il popolo nel panico, crea inevitabilmente delle restrizioni e genera caos ed i primi ad esserne travolti sono proprio i cittadini. Il potere di un dittatore cresce piano piano, cresce con il crescere dei consensi dati dal popolo stesso. Un dittatore comincia ad imporsi nel momento in cui un popolo sente la necessità di avere qualcuno che lo amministri, di avere una guida che lo salvi dal precipizio che inevitabilmente si avvicina, dal futuro sterile e incerto che lo aspetta e che non lascia spazio non solo ai più deboli, ma neanche ai più forti. La dittatura nasce e cresce nutrendosi delle paure, nutrendosi delle incertezze e nutrendosi del bisogno di un popolo di sentirsi ascoltato e finalmente messo al primo posto in un mondo che sembra non lasciargliene affatto attraverso l’utilizzo di armi fornite e decise con il popolo stesso: le armi della legge.

Profilo psicologico del dittatore: la leadership

Non tutti nascono per essere dei grandi leader. Un buon dittatore deve possedere delle qualità fuori dal comune che lo distinguono da quelli che sono coloro che detengono il potere in condizioni normali. Il dittatore deve essere una novità, deve saper ammaliare, affascinare la gente e proporsi come l’unico in grado di poter guidare il popolo nella conquista dei propri obiettivi. Numerose ricerche hanno dimostrato che un leader, per essere grande, deve possedere le cosiddette Big Five. Queste non sono altro che cinque grandi qualità che permettono al leader stesso di accattivarsi il consenso popolare senza troppe difficoltà. Un buon leader deve possedere estroversione (o iniziativa), coscienziosità, intelligenza (o apertura mentale) piacevolezza e stabilità emotiva. I predittori migliori di una buona leadership sono rappresentati principalmente dai primi tre fattori. È bene ricordare che i fattori della personalità sopracitati non forniscono una spiegazione completa al come si formi effettivamente la leadership. Bisogna ricordare che questi fattori, seppur determinanti, sono spesso accompagnati da qualità della persona che sono essenzialmente soggettive. Un paese si può descrivere come un gruppo di grandi, grandissime dimensioni. Ogni membro del gruppo ricopre una posizione, ha un suo status e costituisce un tassello fondamentale affinchè il gruppo funzioni come una macchina ben oliata. Un buon leader, per essere tale, deve possedere delle capacità che non si trovano facilmente, deve possedere una combinazione di fattori che spinga le persone ad affidarsi e lasciarsi guidare.

Conseguenze comportamentali scaturite dalla dittatura

Una volta che il dittatore si sarà accattivato il consenso del popolo sarà pronto per guidarlo, o meglio, controllarlo. Il popolo mostrerà segni di acquiescenza, modificherà, quindi, il suo comportamento schiacciando ed eliminando la minoranza ed elevando le ideologie della maggioranza che rispecchiano in maniera fedele quelle del suo leader. Il popolo obbedisce, il dittatore ordina. Nel momento in cui questo meccanismo entra in circolo, è difficile uscirne. Nel caso della dittatura l’ordine pubblico viene mantenuto con il terrore, con la violenza e difficilmente il popolo sarà in grado di sottrarsene. Vi siete mai chiesti come facessero le squadre delle SS a compiere atti disumani come lo sterminio degli ebrei? Come facessero a dimostrarsi tanto insensibili dal togliere la vita a degli esseri umani in un modo così brutale? Certi fenomeni accadono quando si sviluppano dei pregiudizi su larga scala che fomentano discriminazione e una disumanizzazione legittimata nei confronti di una minoranza che non ha i mezzi per potersi difendere. Tanto più la vittima sarà percepita come un animale, un oggetto, come tutto ma non un essere umano con gli stessi diritti e le stesse qualità della maggioranza, tanto sarà più facile eliminarla. Tanto più la vittima sarà percepita distante, tanto sarà più facile eseguire ciò che è stato ordinato. Si verifica quella che viene chiamata diffusione di responsabilità, un fenomeno che, in parole estremamente povere, si può definire come un “Ho fatto semplicemente quello che mi è stato detto di fare”. La diffusione di responsabilità aiuta le persone a sentirsi meno responsabili dei propri errori, a convivere con i propri sbagli percependoli come se non fossero stati commessi consciamente, come se la colpa, in fin dei conti, potesse essere attribuita a qualcun altro.

È necessario riflettere e porsi delle domande. Possiamo affermare con assoluta certezza che errori imperdonabili come quello dell’antisemitismo hitleriano o l’obbedienza cieca ad un’autorità che legittima pregiudizi siano stati superati in Italia? Possiamo dire che il genere umano ha imparato dai propri errori? Ma soprattutto: possiamo dire che le stesse cose che sono successe non molto tempo fa in Italia non si stiano verificando al giorno d’oggi?

Alice Tomaselli