Nella notte fra il 3 e il 4 agosto 1974, una bomba esplose sul treno Roma-Monaco, uccidendo 12 persone e ferendone 48.
Cinquant’anni fa, un fragore tremendo squarciò quella che sembrava una normale e tranquilla notte estiva nell’Appenino bolognese. C’era chi rientrava dalle vacanze, chi andava a trovare parenti e amici, forse qualcuno che, semplicemente, era attirato dalle bellezze teutoniche. Sui passeggeri di quel treno, tuttavia, piombò la mano di Ordine Nero, uno dei gruppi neofascisti che per vent’anni hanno seminato terrore e morte in tutta la penisola.
Italicus, la “strage dimenticata”: ecco cosa sappiamo (spoiler: non molto)
Per 342 persone, l’1.23 del 4 agosto 1974 fu l’ora dell’apocalisse. Il treno si trovava nei pressi della stazione di San Benedetto Val di Sombro, sulla tratta tra Firenze e Bologna, quasi all’uscita della galleria che, passando attraverso l’appennino tosco-emiliano, collega le due città. In quell’istante, la carrozza numero 5 del convoglio deflagrò a causa di una bomba carica di tritolo misto a termite, un prodotto altamente incendiario che avvolse fra le fiamme ciò che l’esplosione aveva risparmiato. Undici persone morirono nell’incendio che scoppiò; la dodicesima vittima, il 25enne Silver Sirotti, evitò che ne morissero molte di più, prestando soccorso ai passeggeri rimasti intrappolati tra le lamiere.
Silver Sirotti era un giovane ferroviere che quella notte non avrebbe dovuto nemmeno essere in servizio. Durante la commemorazione svoltasi nella sua città natale, Forlì, il fratello, Franco Sirotti, ha rinnovato l’invito a lottare per ottenere finalmente giustizia e verità, per la sua famiglia e per le famiglie delle altre vittime. Ad oggi, infatti, i responsabili della strage non hanno ancora nomi e cognomi: la strage fu rivendicata da Ordine Nero, un’organizzazione di matrice neofascista, ma tutti gli imputati messi sotto processo furono inspiegabilmente assolti, e il caso è stato archiviato come uno dei tanti misteri della Prima Repubblica.
Le parole di Mattarella nel bel mezzo delle polemiche
Come ogni anno, le massime cariche dello Stato – il Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato e il Presidente della Camera – sono intervenute per ricordare le vittime dell’attentato e condannare i responsabili. Succinto ed efficace il messaggio di Sergio Mattarella, che in poche righe ricalca il clima di inquietudine generale che investì il nostro Paese nella delicata fase di transizione democratica, che i fascisti hanno a lungo cercato di ostacolare tramite tentati colpi di Stato, rapimenti, assassini di alte personalità istituzionali e, come in questo episodio, stragi di innocenti, volte ad alimentare la cosiddetta “strategia della tensione“:
“Nella catena sanguinosa della stagione stragista dell’estrema destra italiana, di cui la strage dell’Italicus è parte significativa, emerge la matrice neofascista, come sottolineato dalla sentenza della Corte di Cassazione e dalle conclusioni della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia P2, pur se i procedimenti giudiziari non hanno portato alla espressa condanna di responsabili“.
Queste dichiarazioni sono arrivate a pochi giorni di distanza dall’anniversario di un’altra terribile strage, la strage di Bologna del 2 agosto 1980. Sei anni dopo, sempre in Emilia-Romagna, nel suo capoluogo, non molto lontano dal punto dove era deflagrato l’Italicus. C’è un orologio in Piazza delle Medaglie d’Oro, che da 39 anni è fermo alle 10.25, l’ora esatta in cui un’altra bomba esplose, provocando la morte di 85 persone e ferendone altre 200, per tenere sempre viva e presente la memoria di uno degli avvenimenti più sanguinosi della storia repubblicana. Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna, nel suo discorso di commemorazione della strage ha lanciato un duro attacco al governo: “Le radici di quell’attentato affondano nella storia del postfascismo italiano, in quelle organizzazioni nate dal Movimento Sociale Italiano negli anni cinquanta: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di Governo”. Una frase che non ha lasciato indifferente Giorgia Meloni, aprendo la strada ad un inaudito scontro fra la premier e i familiari delle vittime.
Gli anni di piombo: una scia di delitti senza condanne
Bolognesi ha attaccato l’attuale partito di maggioranza per le sue radici storiche e per il passato che non ha mai totalmente rigettato. Ripercorriamo brevemente le tappe: dopo la caduta del fascismo e la fine della Seconda guerra mondiale, nessun processo è mai stato intentato contro gli ex deputati e i gerarchi fascisti, a differenza di quanto accaduto in Germania con il processo di Norimberga. È così che i fascisti si sono potuti reintegrare nella società e nella vita politica, pur finendone ai margini: molti di loro, infatti, confluirono nel Movimento Sociale Italiano, che raccolse l’eredità ideologica del partito fascista. Dopo essere stati per decenni un partito decisamente di minoranza e surclassato dallo scontro bipolare DC-PCI, la coalizione capitanata dal neonato Forza Italia, che comprendeva anche il MSI e la Lega Nord, permise ai missini di accedere alle cariche governative: per allinearsi con il loro nuovo ruolo istituzionale, sciolsero lo storico partito per fondarne uno maggiormente in linea con la destra italiana di maggioranza, Alleanza Nazionale. Nel 2009 AN si sciolse e i suoi esponenti aderirono al Popolo della Libertà; quando anche quest’ultimo collassò, alcuni dei suoi componenti più in vista, come Ignazio La Russa e Giorgia Meloni, raccolsero la sua tradizione politica e fondarono Fratelli d’Italia.
Negli anni in cui la base elettorale del MSI era ancora molto ristretta, i neofascisti più infervorati seminavano il panico fra i comuni cittadini. Se la tattica delle Brigate Rosse e dei gruppi terroristici di estrema sinistra era colpire direttamente le alte cariche dello Stato, quella dei neofascisti era creare il caos fra la gente tramite attentati e colpi di Stato. L’intento era duplice: nascondersi dietro l’anonimato stragista e svelare la debolezza delle istituzioni repubblicane, per legittimare un’ipotetica presa di potere armata ed un ritorno all’autoritarismo. Questa “strategia della tensione” funzionò a metà: se da un lato non è mai avvenuta l’auspicata svolta autoritaria, dall’altro i responsabili della stagione stragista non sono mai stati individuati e, qualora lo siano stati, non sono mai passati sul banco della giustizia. Per questo, quando oggi si ricordano pubblicamente gli avvenimenti degli anni di piombo, resta sempre quel retrogusto di rabbia mista ad amarezza e sconforto per l’assenza di una verità certa e inconfutabile.