Apu a rischio: cacciato da I Simpson perchè politicamente scorretto

Insorgono le polemiche contro Apu, il personaggio indiano de I Simpson che gestisce il Jet Market. Viene accusato di perpetrare i luoghi comuni e gli stereotipi culturali, religiosi e sociali sui suoi compatrioti. L’autore della serie, Matt Groening, dice che “Le persone scelgono le battaglie sbagliate”. Può esistere troppo politicamente corretto? Uno studio del 1994 spiega cosa sia il rimbalzo dello stereotipo.

Apu Nahasapeemapetilon Simpson
Apu Nahasapeemapetilon è il gestore del Jet Market ne I Simpson al centro di recenti polemiche (https://goo.gl/images/St7Lfv)

Apu Nahasapeemapetilon e le polemiche

I Simpson, nota serie televisiva statunitense in onda dal 1987, è infarcita di stereotipi verso qualsiasi minoranza e maggioranza. I membri della famiglia Simpson sono l’americano medio e con il passare degli anni continuano a rappresentare l’evoluzione della società. I personaggi sono macchiette e caricature costruite sui luoghi comuni delle professioni, delle nazionalità e dello status sociale, ma spesso dimostrano di non essere riducibili allo stereotipo. Criticano e insultano la stessa Fox, la compagnia che trasmette la serie. Qualsiasi personaggio pubblico è passato sotto la sferza de I Simpson che rischiano di dover abbandonare il personaggio di Apu, scelto come vittima del razzismo da Hari Kondalobu. Il comico di origine indiana ha attaccato la compagnia mostrando come la caratterizzazione del personaggio fosse offensiva.

La risposta di Matt Groening

Matt Groening, il creatore della serie, risponde liquidando la critica ad Apu come la “polemica della settimana” e aggiunge che le persone si sentono così “impotenti e ignorate da scegliere le battaglie sbagliate”. La satira colpisce chiunque e non va presa come modello: serve a mostrare le incoerenze e i difetti che tutti hanno. Serve a ridere. Continuando ad anestetizzare le differenze rischiamo di non sapere più come sorridere, neanche di noi stessi.
In questo video il filosofo Slavoj Zizek spiega i rischi di un eccessivo uso del politicamente corretto. Racconta che è una tacita forma di totalitarismo, una coercizione basata sulla premessa che “io, uomo perbene, so meglio di te quello che tu vuoi”.

Può esserci “troppo” politicamente corretto? Un esperimento dalla psicologia 

Nel giro di pochi anni la classe politica europea e mondiale è stata travolta da figure come Matteo Salvini e Donald Trump che hanno ignorato questa modalità d’espressione, rivoltandola. Hanno avuto seguito e successo. Un fenomeno noto in psicologia spiega questi fenomeni: l’accessibilità dei pensieri.
Un gruppo di ricercatori guidati da Neil Macrae ha studiato l’effetto della soppressione degli stereotipi sul comportamento. Ai partecipanti era richiesto di scrivere un breve testo sulla giornata tipica di uno skinhead, di cui veniva mostrata una foto. Metà dei partecipanti ricevevano soltanto la richiesta di compilare il testo, mentre all’altra metà delle persone veniva esplicitamente chiesto di evitare l’uso di luoghi comuni.

I risultati dell’esperimento: la discriminazione

I partecipanti, dopo aver scritto un testo, venivano portati (uno alla volta) in una stanza dove c’era una fila di otto sedie, in apparenza per incontrare lo skinhead della foto (cosa che in realtà non avveniva). Sulla prima sedia erano presenti una borsa e un giubbotto. Il ricercatore spiegava che appartenevano alla persona della foto e che sarebbe ritornato dopo qualche minuto; dunque il partecipante poteva accomodarsi. Coloro che avevano dovuto sopprimere gli stereotipi ebbero un atteggiamento più discriminatorio: si sedettero, mediamente, a cinque o sei sedie di distanza, mentre gli altri a tre o a quattro.

L’accessibilità dei pensieri

Per sopprimere uno stereotipo bisogna controllarsi: analizzare la propria coscienza cercando ogni segno dello stereotipo. Questo ha una conseguenza negativa: ne aumenta l’accessibilità. Le persone che avevano dovuto sforzarsi, una volta in procinto di incontrare un membro della categoria stereotipata, non risentirono tanto della procedura di controllo, ma soprattutto dell’inconsapevole attivazione di tutti i pensieri negativi contro quella persona. Questo si traduce in un comportamento apertamente discriminatorio.
È plausibile che nel corso del tempo il politicamente corretto abbia soppresso i pensieri razzisti (e omofobi e misogini e così via) coprendoli senza estirparli veramente e ora, come quando si ridipinge un muro ammuffito senza prima togliere la muffa, stanno tornando in superficie con forza maggiore a causa di politici che si professano come sdoganatori e liberatori dei pensieri “veri”, fino ad oggi “imprigionati” dall’establishment.

Mattia Grava