Eterni testimoni del perenne scorrere, sospesi sul limbo dell’infinito, e alla perenne ricerca di un senso.
Da dove deriva la felicità? C’è spazio per essa in una vita senza fine? E se si, è unicamente quella lo scopo del nostro agire? Scopriamolo attraverso il film The Old Guard comparato alle visioni filosofiche di Kant, Lévinas e Gianbattista Vico!
All’ombra del tempo
Nascosti eppure sempre al centro dell’azione. Immortali eppure mortali. Questa è la storia di un gruppo di guerrieri destinati a combattere in eterno, o quasi. Il gruppo, capeggiato dalla famosa Andromaca di Scizia, si ritrova ormai agli inizi del ventunesimo secolo, con numerose battaglie alle spalle, e ormai una reputazione ben consolidata di famosi mercenari, infallibili e inafferrabili. La situazione sembra stabilizzarsi, eppure qualcuno sembra essere sulle loro tracce. Una persona senza scrupoli, che non esiterà ad usare la violenza pur di catturarli e intrappolarli. Messi alle strette, Andromaca e i suoi non potranno far altro che ricorrere alla violenza, dando inizio ad un lungo ed estenuante bagno di sangue.
Intrappolati nel tempo
Cos’è il futuro? Non ci è dato saperlo, e tuttavia possiamo ricercare in esso delle caratteristiche in grado di dissipare, almeno in parte, il velo di imperscrutabilità che lo circonda. Per Lévinas infatti, il futuro è un ponte verso l’infinito, in grado di permettere all’uomo di oltrepassare i cancelli della grandezza. Non ci è dato sapere cosa ci riserva, né quando per noi, esseri mortali, si concluderà di netto. È questa indeterminabilità, sospesa come una falce sulle nostre vite, la caratteristica in grado di elevare l’uomo. Il “pas encore”, il non ancora, permette all’uomo di ricercare nella sua vita, finita e mortale, quegli attimi, che se pur brevi, sono in grado di concedergli la felicità. D’altronde, cosa sarebbe la felicità senza la tristezza? Cosa sarebbe la vita senza la morte? È infatti la possibilità della nostra fine, indeterminata eppure certa, a spingere l’uomo all’autorealizzazzione e alla Felicità.
Il fine definitivo
Come raggiungere la felicità? Come trovarla? Secondo Kant, non sarebbe altro che un continuo girovagare senza senso e risoluzione. Essa deriverebbe infatti dalla capacità umana di stabilirsi autonomamente fini da voler raggiungere. E tuttavia, una volta raggiunto un fine, l’uomo non potrà far altro che prefiggersene un’altro, in una ricerca continua di un qualcosa di irraggiungibile, sempre un passo avanti a noi. Da sola, la felicità come già detto, non è facilmente raggiungibile; eppure, se unita ad un qualcosa di sovrasensibile, può rivelarsi la definitiva concretizzazzione dell’essere umano.
Le ombre ai confini della luce
I nemici di Andromaca e del suo gruppo non sono unicamente fisici, ma soprattutto psicologici. L’immortalità li ha spezzati, lacerando ogni loro più piccola credenza, trasportandoli in un gorgo di disperazione e insensatezza. La loro certezza è una sola. Continuare a combattere è l’unica via possibile. Eppure, combattere per cosa? Andromaca vede nell’umanitá una civiltà spezzata dai suoi stessi desideri. Ciò che Gianbattista Vico definirebbe corsi e ricorsi, ovvero la riproposizione di eventi già accaduti nel passato in continuazione nella nostra storia. Guerre, patti, tradimenti e sangue, in una strada senza fine e senza speranza.
Eppure, persino nell’oscurità più profonda si può scorgere un barlume di luce.
La felicità definitiva è impossibile, e il mondo non sembra migliorare eppure…
Eppure esiste un patto, che possa concedere la salvezza. Secondo Kant infatti, l’etico-teologia, ovvero la fede in un dio onnipotente e morale, è l’unica speranza per l’uomo di raggiungere la pace. Dio, il quale ha creato un mondo basato sulla moralità, diviene l’unico garante del sommo bene, ovvero della nostra felicità soggettiva intersecata alla salvezza data dalla fede. Così, anche se sembra non esistere speranza, l’agire dell’uomo morale può condurlo sul giusto cammino per raggiungere la salvezza, se accetta di credere in un’entità superiore che la amministri secondo principi morali.
I guardiani del dover essere
Nella filosofia di Gianbattista Vico, la storia dell’uomo non è una linea retta ed unica, ma è caratterizzata dall’essere e dal suo dover essere, che si dipanano come due linee parallele verso l’infinito futuro. Dio, nella sua onnipotenza, ha costituito una storia ideale eterna, ovvero un progetto del dover essere umano, che lo spinge, andando avanti nel tempo, ad automogliorarsi continuamente.
Procedendo nella visione del film, diviene chiaro lo scopo dell’agire di Andromaca. Nonostante inizialmente il suo eterno combattere risulti senza senso, successivamente si scoprirà come ogni sua azione abbia provocato una progressione nel dover essere dell’uomo. Ogni suo atto, se incastonato in un corretto agire morale, ha portato alla salvezza di migliaia di vite.
Non ci è dato sapere cosa sia il futuro, se non che si estende all’infinito, come un ponte verso l’oblio. Eppure, possiamo sperare in esso come in un’opportunità. Un’opportunità continua e vivificante, in grado, se coadiuvata ad una fede nel progresso e nell’agire morale, di elevare l’uomo e condurlo verso la vera felicità.
Forse, se si crede nel futuro, persino per un immortale c’è speranza di redenzione…