Chi non conosce l’adorabile cucciolo di elefante con le orecchie troppo grandi che gli permettono di volare? Dumbo, nato nel 1941 dalla mente di Walt Disney, è entrato per generazioni nel cuore di tutti i bambini. Con i suoi grandi occhioni blu, le sue orecchie fuori misura e la sua smisurata dolcezza, il curioso personaggio è stato in grado di farsi amare fin dal primo sguardo.

Quello che caratterizza questo film Disney non è però tanto la tenerezza del suo piccolo protagonista, quanto il pesante ed importante tema che si porta appresso. Dumbo, fin dalla nascita, viene denigrato da tutti a causa del suo essere diverso. Le sue immense orecchie gli portano lo sdegno dei suoi simili e di tutti gli altri, che lo additano come ‘mostro‘. Addirittura il suo nome è una sorta di insulto ben strutturato: Dumbo riprende infatti il termine inglese dumb che significa strano.
L’elefantino viene escluso, si vede rivolgere solo risate e boccacce. Non per una qualche sua azione, ma solo per essere nato senza seguire i tradizionali canoni di estetica. Il tema della diversità, dell’emarginazione e della necessità di inclusione bussano dunque prepotentemente al tendone in cui Dumbo è costretto a esibirsi. Temi molto sentiti da ogni narratore che si rispetti appartenente ad ogni epoca. Non solo infatti li ritroviamo nel cartone degli anni ’40, ma anche nel film ad esso ispirato proiettato proprio in questi giorni nelle sale del globo, o nella poesia ottocentesca di uno dei maggiori poeti mondiali: Charles Baudelaire.
Il Dumbo di Tim Burton
Nei cinema del nostro paese dal 28 marzo, il film che vede l’elefante volante come protagonista ha già incassato cinque milioni di euro. Con delle differenze dal cartone originale, il film di Tim Burton presenta con maestria il cucciolo di elefante dalle orecchie troppo grosse per lui. Una pellicola dalle tinte vivaci ed un’atmosfera onirica e coinvolgente molto in stile Big Fish, che fa sentire lo spettatore come parte di quel mirabolante circo.

Tutto, dalle riprese ai colori ricreano un’atmosfera tra il reale e l’irreale, perfettamente in tema con il soggetto. Ma, dettaglio ancora più importante, nonostante il piccolo Dumbo non pronunci neanche una parola riesce solo con la sua proboscide e con la profondità del suo sguardo a dar voce a tutti quei temi citati in precedenza. Diversità; emarginazione; finale inclusione.
Dumbo viene elevato a simbolo di tutti coloro che sono diversi, per un motivo o per l’altro. Di quelli che non seguono le rigide regole che la società impone. Ne presenta i problemi e drammi in maniera innocente, così che anche un bambino riesca a comprenderli. Inoltre, mostra le capacità che ognuno ha e può avere, la bellezza racchiusa in ogni essere vivente. La tenerezza dell’elefantino lo fa amare dal pubblico che dalla prima scena lo considera speciale e non comprende come gli altri non riescano a capirlo.
Il potere dell’elefante volante
Dumbo insomma dona un modello di comportamento, un duplice esempio da seguire. Perché infatti non è solo il piccolo protagonista ad essere trattato come un emarginato. Un po’ come metteva in risalto il film The Greatest Showman, l’intero mondo del circo è visto come un universo parallelo.
L’addestratore di Dumbo è emblema di diversità, ma anche di come da una disgrazia ci si possa sempre rialzare. La ragazzina che si prende cura di lui rappresenta la potenza e la forza della determinazione, e l’importanza di seguire sempre i propri sogni e passioni.

Se quindi tutti questi personaggi mostrano come avere rispetto e fiducia per se stessi, come essi si trattano tra loro raffigura come ci si dovrebbe trattare tra esseri umani. L’amore incondizionato donato a Dumbo dalla famiglia Farrier, l’affetto mostrato dai membri del circo al piccolo elefante e alla sua mamma… così Dumbo insegna come approcciarsi agli altri. Allo stesso tempo, l’antagonista della storia e la sua sorte sono esempi della cattiva strada, e delle conseguenze che questa porta.
I fiori del male di Baudelaire
Ma per dimostrare che temi di questa portata non sono solo da spiegare ai più piccoli, una massiccia figura dell’alta letteratura arriva in soccorso. Charles Baudelaire dedica addirittura una sua intera opera alla diversità. I Fiori del Male è il suo capolavoro, una raccolta di poesie che si dividono in sottogruppi, tra cui compare anche Tableaux Parisiens.

Questo ‘capitolo’ dipinge Parigi nella sua realtà. Baudelaire è molto preciso nel descriverla e mette in risalto il suo lato ‘oscuro’, rendendo protagonisti quei personaggi che così poco si sono visti nella lirica precedente. Non nobili, non donne bellissime e perfette, ma gli emarginati, coloro che realmente popolano le strade della ville lumière.
Il poeta sceglie di dare voce a chi non è stato mai ascoltato o lasciato parlare. Si interessa a coloro che la società scarta e mal considera, un po’ come Victor Hugo nei suoi Miserabili o come farà De André cent’anni dopo. Baudelaire si immerge in quel mondo di perdizione per mostrare ciò che veramente era e per avvicinarsi a chi non era mai entrato nell’universo dell’arte perché considerato poco degno. Elimina ogni velo, mette in risalto il diverso e la fierezza di esso e sceglie di includerlo nella sua opera al posto di emarginarlo ai suoi lati.
Verrebbe quasi da dire, come farebbe il cantautore genovese, ‘dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior‘. Il poeta francese mette davanti alla società del suo tempo la metà della popolazione di cui nessuno si era mai occupato ma che esisteva e che, dunque, era scorretto fingere di ignorare solo perché ‘scomoda’.
Insomma, come Walt Disney e Tim Burton, anche Charles Baudelaire aveva portato a galla il pesante massiccio dell’emarginazione. E anche lui aveva spinto la gente a smettere di voltare lo sguardo. Quello che questi tre artisti, come molti altri, gridano in coro è che l’essere diversi non è e non deve essere un male. Einstein diceva: ‘Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido’. In sintesi, il trucco sta nel trovare la propria abilità. Se poi è volare con le orecchie, che male ci dovrebbe essere?