Anche l’occhio vuole la sua parte. Da questo presupposto parte l’analisi di una foto che, sebbene verrà ricordata nei libri di storia negli anni a venire, racchiude in sé il motivo per cui pubblico e politica sono ben lontani dal trovare un sentiero comune.

La foto sopra rappresentata è l’emblema della fine della guerra al terrore, cominciata nel lontano 11 settembre del 2001 e conclusasi ben 10 anni dopo ad Abbotabad, in Pakistan. All’interno sono raffigurati due dei personaggi più importanti dell’inizio del secolo: Barack Obama e Hillary Clinton, circondati da vari esponenti del loro governo e consiglieri militari. Ma cosa sta palesemente sconvolgendo i loro visi? Perché tanta preoccupazione nei loro sguardi? Il motivo è presto detto: non è cosa di tutti i giorni assistere in diretta all’assassinio di Osama Bin Laden.
Fallimento politico
Ma dove si trova nello scatto il nostro Bin Laden? Domanda ancor più legittima, siccome proprio questo interrogativo apre un orizzonte di speculazioni e di pensieri critici nei confronti dell’allora partito dominante negli USA. Il feroce terrorista si trova rappresentato nello schermo che quelle persone stanno guardando. In poche parole, loro possono godersi lo spettacolo, il grande pubblico no. Proprio da qui nasce un interessante ragionamento, portato avanti da W.T. Mitchell, secondo cui questo scatto rappresenta prima di tutto la perdita di fiducia del grande pubblico nei confronti delle “élite liberali-sinistroidi-schiave di Soros-et similia”. E proprio con ciò si è maggiormente in grado di capire perchè, con la conclusione della guerra al terrore e con lo stallo creatosi con la crisi economica del 2008- e la successiva politica di austerity-, il grande pubblico ha sempre più avuto bisogno di populismo nelle proprie vite.
Due sono le ragioni fondamentali per cui questa foto, a livello storico e politico, rappresenta il fallimento del liberalismo e dei democratici negli USA e, in altre misure, nel mondo occidentale. Prima di tutto, in quella che sembra una foto convenzionale ed abbozzata, manca il realismo tipico dei grandi eventi salvati con uno scatto: in poche parole, la portata incredibile dello scatto in questione è decisamente rimpicciolita dalla scarsa originalità della fotografia in sé. Non va dimenticato, infatti, che lo “spettacolo” dell’11 settembre è consistito nel crollo di due grattacieli immensi in una nube di fuoco, dolore, polvere, macerie che ha simbolicamente ricoperto l’intero paese. Nulla di equiparabile, di certo, a un paio di sguardi attoniti in una stanza segreta.

Ma proprio gli sguardi sono la seconda ragione per cui dallo scatto è chiaro dove i governi liberali abbiano miseramente fallito nel decennio 2008-2018: mentre scene quali il crollo delle torri gemelle, le torture ai prigionieri in Iraq, i bombardamenti in Afghanistan sono state alla portata di tutti, lo stesso non si può dire del vero soggetto della fotografia in questione: Osama Bin Laden. In poche parole, l’immagine stessa ci sta chiedendo di fidarci di quegli sguardi. Sappiamo che Bin Laden è morto (o almeno dobbiamo crederlo) perché Obama e la Clinton hanno due facce sconvolte. Si tratta, insomma, di una prova di fiducia che un pubblico esigente come quello del ventunesimo secolo non può certo sostenere. E se è vero che una foto effettiva del volto del terrorista crivellato di proiettili è stata pubblicata, tradisce ugualmente le aspettative dello spettatore: uno scatto sgranato, mosso e privo di dettagli adeguati.
Differenze
Il liberalismo ha fallito su due fronti fondamentali, quando si parla di media moderni. E proprio in ciò sta la differenza abissale con la classe politica populista: una serie di individui che, ragionando “di pancia”, sono ben più abituati al mondo del web e dei nuovi media. Sanno cosa sia un hashtag, sanno come sponsorizzare le proprie pagine Facebook, sanno come intrattenere una live su YouTube. Si tratta di capacità spesso ritenute banali, ma che, come la fotografia in esame dimostra, segnano la differenza tra ciò che il pubblico vuole e ciò che il pubblico merita.
E proprio di meriti si parla, quando si osserva il settore cinematografico rispetto a quello televisivo. Decine e decine sono state le pellicole prodotte dall’11 settembre ad oggi, e gran parte del cinema di guerra o simulato in prima persona (V. Cloverfield, Blair Witch Project) riprende fedelmente le modalità di ripresa tipiche del conflitto in Afghanistan o in Iraq: videocamere tremolanti, riprese di droni militari, soldati che salutano i propri familiari in quello che sembra un video-testamento… Tutte scene che colpiscono per la verosimiglianza con la realtà della guerra, coi suoi morti e le sue medaglie al valore. Chissà, seguendo un simile ragionamento e studiando le tecniche di regia e di propaganda nulla vieterebbe a Steven Spielberg o a Michael Moore di ottenere un posto alla Casa Bianca in futuro.
Meowlow