Nel 1878 Muybridge scatta delle foto ad un cavallo in movimento, ma è solo 34 anni dopo che i Gestaltisti si accorgono che le foto di Muybridge possono spiegare l’effetto del movimento per l’occhio umano.
Avete mai veramente pensato a come avviene la percezione del movimento? E’ dato dal nostro occhio o dalla realtà attorno a noi? Se voi non vi siete mai posti questa domanda, sicuramente se la sono posta gli studiosi della Gestalt guardando le foto di Muybridge che cercava di ritrarre cavalli in corsa. Che risposta hanno trovato i Gestaltisti? L’effetto Phi!
“Il tutto è diverso dalla somma delle parti”
Questo era il motto della scuola della Gestalt, una scuola di psicologia fondata agli inizi del XX secolo in Germania e sviluppatasi, in seguito alle persecuzioni naziste, anche negli Stati Uniti d’America, dove i principali esponenti di questa scuola erano immigrati. Gli studi psicologici dei Gestaltisti si focalizzano principalmente sul ragionamento volto alla risoluzione di un problema e, soprattutto, sugli aspetti percettivi. In particolare, le loro teorie sulla percezione si basano sulla suddivisione del tutto (cosa viene percepito) dalle sue singole parti, dando più importanza a tutto il contenuto di una singola esperienza, così come ci è pervenuta. Alla scuola della Gestalt, inoltre, si deve lo studio sugli effetti ottici, da loro chiamate “leggi dell’organizzazione della forma”, tra queste vi sono la legge della similarità (in un insieme costituito da più elementi, avremo la tendenza a raggruppare gli elementi per somiglianza), la legge del destino comune (la tenenza a percepire come appartenenti ad un univo oggetto gli elementi che si muovono insieme), la legge della vicinanza (il raggruppare gli elementi appartenenti ad un insieme dipendentemente dalla distanza tra l’uno e l’altro).
Muybridge: teoria della fotografia in movimento
E’ il 1872: Leland Stanford, appassionato di cavalli, chiede al suo amico e fotografo Eadweard Muybridge di fotografare la corsa di un cavallo ed il suo fantino. In realtà, l’occasione della fotografia era stata creata da Stanford come una sfida tra lui ed il fotografo, affichè Muybridge cercasse di verificare se c’è un momento in cui il cavallo non poggia nessuna delle zampe. Muybridge capì subito che il punto non era trovare il momento perfetto durante la corsa del cavallo, ma riuscire a spezzare la continuità del movimento. Certamente difficile per le macchine fotografiche dell’epoca, che catturavano il movimento vago, indistinto e semitrasparente! Nel 1873 Muybrindge iniziò i suoi lavori per modificare la sua macchina fotografica, in modo tale da rendere i fotogrammi del movimento molto più chiari. Ha un primo, mediocre risultato già un paio di anni dopo, ma le prime vere fotografie del cavallo in movimento chiare e distinte risalgono al 1878.
1878: l’innovazione che cambiò le teorie della percezione
Il sistema utilizzato da Muybridge consisteva nell’utilizzare 24 fotocamere da lui modificate in rapida successione, disposte in maniera parallela rispetto al movimento da registrare e azionate da un sistema ad orologeria con fili azionati a loro volta al passaggio del cavallo nel momento stesso in cui esse dovevano scattare. Et voilà! Dopo anni di tentativi insoddisfacenti e di duro lavoro, Muybridge riuscì ad ottenere i risultati che cercava, ampliando il suo lavoro anche a uomini e donne. Pubblica i suoi scatti nel 1881, con il titolo “The Attitudes of Animals in Motion”, dimostrando che il movimento completo avviene in sequenze in rapida successione legate le une alle altre, e che lo spazio non è altro che oggetto di contorno al movimento che cambia continuamente in relazione al movimento dell’oggetto.
Ma ci muoviamo oppure no?
Probabilmente, Muybridge non pensava che le sue foto potessero avere risonanza a livello mondiale, persino oggi, quasi due secoli dopo i primi scatti. Ma facciamo qualche passo indietro. Oltre ad aver segnato l’inizio del cinema e l’invenzione della pellicola cinematografica, senza dubbio le foto di Muybridge hanno portato importanti innovazioni anche all’interno della psicologia. Quasi 35 anni dopo, infatti, Max Wertheimer, uno dei maggiori esponenti della scuola Gestaltista, formula la sua ipotesi dell’effetto Phi sulla percezione illusoria, secondo cui la percezione del movimento è prodotta da una successione veloce di immagine statiche. Volete un esempio? Immaginate di avere davanti a voi il vostro albero di Natale, con le luci che lo circondano dalla parte bassa alla punta. Bene, ora immaginate di vedere una sola luce accesa: l’ultima della fila, nella parte più bassa dell’albero. Dopo di che, iniziate a vedere lo spostamento veloce di questa luce, dalla parte più bassa all’ultima lampadina in punta, poi il suo ritorno fino alla prima lampadina. Ci siete? Ora ponetevi questa domanda: la luce si “sposta” veramente? In realtà no, è solo la nostra percezione! Le lampadine, in realtà, si accendono e spengono velocemente in sequenza, ma siamo noi ad avere la sensazione che ci sia una sola luce che si sposta continuamente da una lampadina all’altra. L’effetto Phi è stato descritto dallo stesso Wertheimer anche come “movimento puro”, in quanto può essere percepito senza l’utilizzo di altri sensi (in questo caso, senza vedere un oggetto durante un reale movimento). Dunque, questa ipotesi rimane una delle più importanti e fondanti della scuola Gestaltista e delle loro teorie sulla percezione della realtà.
Un esempio di effetto Phi. Percepiamo il movimento del cerchio, ma, in realtà, si tratta di più cerchi che sono visibili ad intermittenza.