La sonda ad alta tecnologia
Il Mars Reconnaissance Orbiter (sigla: MRO) è una sonda spaziale polifunzionale della NASA. Dall’Agosto del 2005 il suo obiettivo è l’analisi dettagliata del pianeta Marte con lo scopo di individuare un potenziale luogo di atterraggio per future missioni. La sonda è progettata anche per fornire alle future missioni un canale trasmissivo a banda larga tra la Terra e Marte e per eseguire osservazioni ad altissima risoluzione. MRO è una delle missioni più longeve di osservazione del Pianeta Rosso, del quale continua ad analizzare l’atmosfera, la superficie e il sottosuolo, supportando le missioni dei vari rover che nel tempo si sono succeduti nell’esplorazione della superficie marziana.
La sonda è dotata delle più evolute tecnologie nel campo aerospaziale e può vantare camere ad altissima risoluzione, spettrometri, radiometri e particolari apparecchi per l’analisi del campo gravitazionale e la densità atmosferica di Marte. Il tutto è supportato dall’energia solare e da accumulatori di energia elettrica al nickel-idrogeno per fornirne anche quando la sonda non viene più illuminata dal Sole, transitando nell’ombra del Pianeta Rosso.
Che potrebbe aver fatto i capricci
La presenza di acqua liquida nel passato e nel sottosuolo di Marte è stata accertata senza possibilità di errore. Tuttavia, un difetto in un software che legge le immagini della superficie marziana catturate dalla sonda potrebbe aver fatto vedere tracce di umidità sul suolo di Marte anche dove non ci sono. Lo sostiene un’analisi del California Institute of Technology (in sigla, CalTech).Il dubbio riguarda una piccola percentuale di sali idrati come i perclorati, composti chimici che – in soluzione acquosa – sono in grado di abbassare il punto di congelamento dell’acqua anche di 80 gradi °C, abbastanza da consentire la presenza di acqua liquida anche nel rigido clima marziano. Per questa ragione se ne cerca la presenza sulla superficie del Pianeta Rosso, quest’ultima accertata in passato sia da Curiosity, sia dal Lander della NASA Phoenix.
Le conclusioni
Nei punti di passaggio tra luce e ombra (quindi nel passaggio tra “elemento 1” ed “elemento 2”), la telecamera di CRISM può impiegare qualche pixel a realizzare che il tipo di luce è cambiato, e quindi potrebbe confondere due elementi. Per eliminare questa confusione nei dati, gli scienziati avevano introdotto un software ad hoc. Il team del Caltech si è però accorto che per lo 0,05% dei pixel, le correzioni introdotte dal software risultano avere le stesse caratteristiche spettrali dei perclorati, un grande numero se si considerano le migliaia di immagini studiate dal 2005 ad oggi. Ecco perché potrebbero essere apparsi anche dove non sono presenti. Una semplice correzione, in conclusione, potrebbe aver trasformato dal punto di vista grafico, sugli schermi dell’MRO, un elemento.
Umberto Raiola