L’analisi del Genio kantiano: Dr. House tra etica e logica

Il dottor Gregory House, personaggio fittizio della nota serie televisiva Dr. House – Medical Division, ritiene ogni malattia un puzzle, un nuovo ed intrigante rompicapo da risolvere mediante acume. Per questi, infatti, il consueto caso clinico – spesso giunto in condizioni disperate – concerne una letterale sfida diagnostica, condotta attraverso l’utilizzo d’impressionanti abilità logico-analitiche. Gli spettatori, al contrario, risultano soliti focalizzare l’attenzione proprio sullo stesso protagonista: tentano di comprendere il modo di ragionare che lo caratterizza, l’innata abilità analitica, così come se sia buono o cattivo. In particolar modo, dunque, cercano una spiegazione riguardo il perché questi li affascini.

L’etica oltre l’etica: un binomio Genio-sregolatezza?

Un solo articolo, qualora si volessero esporre i difetti di House nella propria interezza, non sarebbe sufficiente. Tuttavia, ad onor del vero, l’enigmatica figura di Gregory pare procedere ben oltre una simile cornice.

Per quanto innumerevoli, tali vizi trasfigurano, divenendo tratti peculiari d’un soggetto eccezionale, il quale si pone al di là del bene e del male. In un uomo normale, insomma, essi verrebbero considerati spregevoli, ma in House ciò non accade: a lui è concesso non rispettare alcuna regola. Un agire sregolato, in tal caso, conduce il protagonista all’adozione d’un etica che oltrepassa l’etica stessa, che, come detto, sosta al di fuori della morale quotidiana. Conta unicamente salvare il paziente, mentre il modo non possiede alcuna importanza. In tale pensiero, su cui House concentra il significato della propria realtà, sussiste una mera ed assoluta passione. Risulta corretto, dunque, definire il protagonista una classica variazione del binomio Genio-sregolatezza? Forse. Indubbiamente il fascino da lui emanato scaturisce altresì da ciò, dall’espressione d’un’assoluta genialità.

Una deontologia assente: il fare machiavellico

Nel momento in cui s’osserva il comportamento tenuto da House, il senso di ciò che si ritiene giusto o sbagliato viene meno. Da un lato, infatti, questi non rispetta alcuna procedura in termini di deontologia professionale, violando ambo norme giuridiche ed altresì il regolamento dell’ospedale stesso. Dall’altro, egli altrettanto ignora le norme sociali, ovverosia i consueti comportamenti adottati tra colleghi, amici o, più semplicemente, tra esseri umani. Spesso e volentieri tale tratto caratteriale – rasentando la sociopatia – si manifesta durante lo sviluppo d’un caso clinico. Se ciò che conta è salvare il paziente, allora ogni considerazione deontologica perde valore qualora impedisca il conseguimento di tale obbiettivo.

La solitudine come destino del Genio

Lungo l’arco delle nove stagioni, House s’è trovato più volte dinnanzi alla risoluzione fortuita d’un caso. Egli, in tali circostanze, è solito manifestare apertamente il pensiero secondo cui non ci si debba accontentare d’una teoria ben costruita e coerente. Non è infatti sufficiente che questa esplichi e preveda ogni sintomo ed ogni fatto, bensì che si riveli vera nel senso più forte del termine. Il problema, tuttavia, consta della soggettività: le giustificazioni diagnostiche risultano spesso evidenti unicamente per lui, poiché, se così si può dire, gli altri non sono in grado d’arrivarci. Il protagonista non può lasciare che simili giustificazioni restino soggettive, che rimangano accessibili a lui soltanto. Per questo motivo – ed altresì per dimostrarsi il migliore ed il più geniale – egli tenta di condividere con l’equipe ciò che per lui appare a guisa d’un’evidenza.

I colleghi Cameron, Chase, Foreman e Wilson – nonché il direttore Lisa Cuddy – altro non possono fare se non ammettere che House realmente sa ciò che loro non sanno. In tal senso, il protagonista si rende partecipe d’un duplice livello di solitudine, per così dire: da un lato è egli stesso ad isolarsi dal mondo sociale, mentre, dall’altro, ciò risulta altresì un qualcosa di inevitabile. Per quanto Gregory possa desiderarlo, alcuna persona sarà mai in grado di comprenderlo. Wilson, suo unico amico, appare il solo capace di tenerlo a freno, seppur relativamente. Questi non tenta infatti di capire nel pieno l’agire del medico, bensì unicamente di stimolarlo. La funzione del summenzionato personaggio risiede in ciò, il mero contributo alla nascita di nuove idee.

Il metodo House: un’arte dell’ipotesi

“Ho-use it”, “Usalo”, un gioco di parole in lingua inglese in riferimento al cervello e, pertanto, all’intelligenza

Qualunque certezza di House – ad eccezione di quella che risolverà il caso – si rivela provvisoria. Le ipotetiche diagnosi subiscono, per l’appunto, una procedura di “scrematura“, venendo ripetutamente discusse e rimpiazzate. Altresì gli episodi si strutturano sulla base di tale metodo: le affermazioni si criticano, si rivedono, si sostituiscono e si riprendono continuamente. La stessa Cameron ritiene la diagnostica “più un’arte che una scienza”. Il protagonista si destreggia con maestria attraverso i vari casi mediante la messa in pratica d’un’eccelsa metodologia deduttiva. Talvolta, esaurita la procedura standard, giunge persino ad “inventare” ipotesi sorprendenti che consentano la definizione d’una diagnosi. In breve, House gioca col paziente esattamente come gioca a poker: in entrambe le circostanze utilizza l’intelligenza al fine di dedurre ed ipotizzare, per poi, infine, rischiare il tutto.

House in Kant: la concezione del Genio nella Critica del Giudizio

Immanuel Kant elabora la concezione del Genio all’interno dell’opera Critica del Giudizio. Egli ritiene che la scoperta in ambito scientifico rappresenti il risultato d’un metodo, il quale, pertanto, può essere insegnato ed appreso. In altri termini, imitato. L’imitazione, secondo Kant, non ha nulla a che fare con la produzione geniale, poiché quest’ultima non segue regole scientifiche. Il Genio, in quanto tale, non sa cosa l’abbia portato a creare un’opera e le uniche regole a cui s’affida sono insite nella propria stessa natura. Agiscono spontaneamente, insomma, al contrario dell’arte meccanica, prodotta da un lavoro d’insegnamento ed apprendimento. Inoltre, la produzione del Genio deve sì fungere da modello atto all’imitazione: è necessario che si riveli esemplare e che, senza essere frutto d’emulazione, serva agli altri come un qualcosa a cui ispirarsi.

Il Genio, secondo Kant, sintetizza in sé immaginazione ed intelletto, una mistione che genera un’assoluta libertà creativa. L’intelletto, qui, non funge da costrizione razionale, bensì da strumento atto alla liberazione d’un naturale gusto estetico. Il rapporto con House pare evidente. Anzitutto, è stato più volte fatto presente come il medico possieda una talento diagnostico innato, da cui i colleghi possono unicamente trarre ispirazione. Il protagonista esplica soluzioni ed ipotesi, ma a questi è concesso solo d’imitare un simile metodo. Inoltre, egli fa della libertà creativa uno tra i propri capisaldi: come detto, spesso e volentieri trascura leggi e regolamenti, sostando al di fuori della cornice deontologica. L’intelletto di House, per l’appunto, consente la formazione di regole a sé stanti, d’un etica fuori dall’etica, insomma di liberare la personale natura in ogni sua forma.

Simone Massenz

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.