I nomi indicano solo le cose cui sono riferiti? Oppure se chiamo un cane Eugenio sto involontariamente esprimendo bisogno di affetto e calore familiare? Scopriamolo insieme, analizzando con le teorie di Frege le parole della ministra Roccella.
Correva il 20 giugno 2023 e la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Roccella si trovava a Roma. Era una giornata afosa, calda, decisamente poco adeguata all’incarico professionale che era tenuta a svolgere: partecipare al Fenix, la festa dei giovani di Fratelli d’Italia. Tutto pareva uguale e monotono e niente di inaspettato sembrava all’ordine del giorno. Tutto questo, finché la ministra non decise di tenere un discorso. E fu subito caso mediatico.
La polemica della ministra Roccella
Le parole della ministra viaggiano nella rete e nei telegiornali d’Italia e tutti sanno che questa sarà la polemica dell’anno, anzi, del secolo! Eugenia Roccella già sa di essere diventata una star per aver pronunciato il discorso che cambierà il futuro della nazione:
Amo moltissimo cani e gatti, ho un cane e quattro gatti. Non è perciò una questione di ostilità nei confronti degli animali, ma quando mi capita di portare il cane ai giardinetti sento il richiamo degli altri proprietari. Li chiamano e sento Giovanni, Eugenio, Riccardo.
Inutile commentare qui l’incipit del discorso “Io sono animalista, ma…”, che si configura già da solo come un cliché, come una storia che tutti già conosciamo. Quel “ma“, presente in svariate parti del discorso, è evidentemente presagio di sventura per tutti gli uditori più accorti. La congiunzione avversativa ha, infatti, il compito di permettere alla frase successiva di contrastare la precedente. In talune circostanze sembra, però, che venga usata solo a mo’ di scusa e come tentativo di giustificarsi, sapendo già che dopo si pronuncerà qualcosa che la maggioranza non condivide e alla cui etica non corrisponde.
Poi, in questo caso, è chiaro che la ministra non ce l’ha con gli animali, ma con i padroni che gli danno nomi umani. Non è, perciò, una polemica da vigliacchi, contro qualcuno che non può risponderle, ma contro chi lei ha il dovere di governare, cercando le soluzioni piò adeguate a risolvere le problematiche all’ordine del giorno. In questo caso, il fatto che ad alcuni animali vengano incisi sul collare e, quindi, destinati, per scelta di chi li possiede, nomi presunti umani. L’equivoco è allora chiarito: quel “ma” serve a spiegare con più chiarezza chi è il bersaglio della polemica. Ma quali sono le ragioni può profonde della rivolta?
L’analisi di Gottlob Frege
Il vero motivo di tanto agitarsi da parte della ministra deriva dal fatto che la donna ha compreso un tema centrale in linguistica filosofica: il problema non sono tanto i nomi che si danno alle cose, quanto quello che indicano. Chiamare un cane Eugenio è un fatto irrilevante per chi non veda questo appellativo come esclusivamente umano, ma la ministra ha diviso il campo dei nomi propri in due settori: quelli animali e quelli umani. Ci viene qui allora in soccorso un grande maestro della filosofia analitica e, in particolare, della filosofia del linguaggio: vi presento Friedrich Ludwig Gottlob Frege. Il filosofo tedesco nel 1982 pubblica l’opera che ci aiuterà a dipanare questa matassa, tradotta in italiano col titolo di Senso e significato.
Con il secondo si intende tradurre la parola tedesca Bedeutung, che indica l’oggetto cui ci riferiamo con il nome che stiamo pronunciando. Per dirlo in maniera semplice, se chiamo il cane “Eugenio”, il nome proprio dell’animale fa sì che il nostro amico a quattro zampe in carne ed ossa gli corrisponda immediatamente e sia ciò che Frege chiama significato. Fin qui, nulla di sorprendente. Il significato di qualsiasi parola è l’oggetto cui questa si riferisce nella realtà. La ministra non ha niente da obiettare su questo, ben consapevole che la sua polemica non si basa sul significato, quanto sul senso. Con questa seconda espressione si traduce generalmente nella nostra lingua il tedesco Sinn, che indica qualcosa di vagamente più complesso.
Sensi sono tutte le informazioni aggiuntive che ci sono automaticamente evidenti quando pronunciamo una parola. Ecco, era questo che la Roccella cercava di dirci: Eugenio è un nome da umano, perché noi sappiamo che generalmente viene usato per le persone che ci circondano. Raramente ci aspetteremmo venisse conferito a un tenero esserino peloso che incontriamo al parco. Il senso della parola “Eugenio” non è il cagnolino che mi scodinzola di fronte, ma è letteralmente il fatto che qualcuno abbia dato un nome generalmente utilizzato per umani a un animale.
Questo perché i parlanti non pronunciano parole vuote di contenuto, dal momento che in ogni parola si celano degli elementi aggiuntivi che vanno oltre il mero riconoscere l’oggetto reale che la parola indica. Queste informazioni sono la ragione per cui la ministra storce il naso quando sente al parco qualcuno gridare “Giovanni!” e voltandosi non trova il figlio dell’uomo disperato, ma un simpatico cucciolo.
Il calore umano
Ma non è finita qui: la Roccella è preoccupata perchè il suo ruolo istituzionale è quello di proteggere la serenità familiare e la compostezza del suo nucleo. Per il potere conferitole dal governo Meloni, lei si dichiara sacra protettrice della famiglia tradizionale e non arretra di un passo: i cani vogliono sostituire i figli. No, non nel senso che li sbranano di notte introducendosi nelle case, ma nella misura in cui paiono agli occhi della ministra aver ordito un complotto a spese dell’umano. L’estinzione della razza umana è seriamente possibile e minata non dalla sostituzione etnica, ma da quella di specie!
Non volendole fraintendere, si riportano qui le parole esatte della ministra, che ricorda persino l’intervento di Papa Francesco in cui si menzionava il fatto che nei passeggini i cagnolini hanno preso il posto dei bambini:
Comincia a diventare una confusione non casuale. Perché questo tentativo di appaiare i nomi che si danno ai bambini, i nomi umani, a quelli dei cani, è sintomo di un desiderio, di un bisogno che evidentemente c’è.
La Roccella precisa che si tratta di un bisogno di calore familiare e di affetto, trasferito sugli animali a detta sua “in maniera impropria”. L’intervento della ministra appare, allora, non fine a sè stesso, ma volto a incrementare l’attività di governo in merito alle politiche demografiche e destinato a ritornare sul tema della denatalità, cavallo di battaglia dei leader in carica.
Accortasi di aver sollevato un polverone, la ministra ha deciso di contrattaccare col mezzo più adeguato e di più alta credibilità istituzionale in suo possesso, con quello che ha maggiormente determinato le sorti della politica degli ultimi anni: il famigerato social media Facebook. Lì, commenta in un post la polemica e dichiara che le sue parole sono state strumentalizzate, ammettendo nuovamente di essere un’amante di cani e gatti e di averne sempre avuti. (Altri animali non sono contemplati, la ministra non fa evidentemente gite allo zoo domenicali). Non solo, è proprio lì che aggiunge di avere tre gatti con nomi simil-umani: Donald, Oliver e Colette.
Insomma, la polemica appare, in questi termini, vagamente futile e rischia di farci perdere di vista un fatto centrale ed evidente dai fatti di cronaca di cui sentiamo tutti i giorni: che l’uomo stesso è una bestia. Questo tentativo di separare umano e animale e di ricreare una realtà a misura d’uomo è già stato effettuato nei secoli passati ed ha storicamente fallito. La ragione è ovvia: perchè la natura umana è, in sè stessa, animale.