Islam in Cina: una guerra senza voce

Con una popolazione di 1,4 miliardi di persone, e una superficie che ricopre circa metà del continente asiatico, la Cina è a tutti gli effetti una delle maggiori potenze mondiali. Eppure, al pari dei grandi imperi del passato, una è la difficoltà maggiore vissuta attualmente dal governo: la gestione di così tante culture ammassate in così poco spazio. Tra queste, una in particolare è stata sottovalutata e repressa senza sforzi: la fede islamica.

Una violazione dei diritti umani sta prendendo sempre più piede nela nazione più economicamente sviluppata del continente asiatico. Con una manovra di controllo senza eguali, il governo cinese si è infatti prefissato un unico obiettivo: mettere a tacere la minoranza islamica che la popola.

Fonte: http://www.limesonline.com

A pagarne le spese è la comunità degli Uiguri, stanziati nello Xinjiang (nell’estremo ovest del paese). Già a maggio di quest’anno, la regione cinese ha dovuto fronteggiare la marcia dei funzionari comunisti che, casa per casa, hanno interrogato e censito tutti gli abitanti di fede islamica. E ciò che potrebbe sembrare una manovra di prevenzione, ha in realtà scopi ben più gravi. In primis, ottenere i dati privati della popolazione per aumentare il controllo del governo. Secondariamente, il messaggio ideologico: non importa dove tu risieda, i funzionari saranno sempre in grado di tenerti d’occhio.

La voce degli ultimi

Le comunità islamiche vicine non hanno certo tardato a farsi sentire: Human Rights Watch per prima ha denunciato la detenzione illegale di 38 persone. Il loro crimine? Seguire la religione sbagliata. Gli Uiguri stessi, infatti, hanno fatto presente persino all’ONU come la loro situazione oscilli tra la libertà vigilata e l’incarcerazione. Tant’è vero che, sebbene siano 38 le persone attualmente incarcerate, il numero di coloro che sono passati attraverso campi di prigionia nello Xinjiang sarebbe tra 100.000 e un milione di persone; come immaginabile, è ancora difficile, se non impossibile, ottenere dei dati precisi da parte del governo cinese.

Fonte: www.laogai.it

Ciò che è stato appurato in base alle cifre attuali è che lo Xinjiang, contenente l’1,5% della popolazione cinese, ha visto il 21% di arresti da parte dei funzionari, con un aumento di detenuti del 306% nel 2017. Cifre da capogiro, che portano a riflettere sulla condizione sociale di un paese gonfio di contraddizioni.

Prevenire è meglio che curare?

Il ventunesimo secolo è storicamente visto ormai come “il secolo dei terroristi“. Aperto con il crollo delle torri gemelle nel 2001, una escalation di terribili attentati, accompagnata da un sempre maggior sviluppo delle tecnologie e delle strategie messe in atto dai terroristi, si è espansa a macchia d’olio in ogni regione del mondo. Dalle Filippine agli USA, dall’Europa al Nord Africa, dal Caucaso alla Cina: ogni luogo è potnzialmente un avamposto dell’ISIS, di Ezbollah, di Al Qaeda.

Fonte: www.rfa.org

Da ciò la “manovra preventiva” messa in atto dal Governo. E se anche è vero che ancora nessun attentato di grosse dimensioni abbia colpito Pechino, ciò è stato pagato a caro prezzo dai civili. Il sistema di vigilanza cinese ancora una volta ha mostrato la sua infinita potenza; ma quando mai potrà essere tracciata la linea che separa un uomo libero da un uomo schiavo della violenza? Quando una persona potrà essere etichettata non più in base al suo credo? La risposta, fa indirettamente sapere il governo cinese, è nascosta da qualche parte. Forse in un campo di prigionia in mezzo al deserto dei Gobi.