Tra le cose che migliorano l’umore di uno studente c’è sicuramente il lavoro in gruppo. Se i professori lo adottano per insegnare valori importanti come la cooperazione e l’organizzazione, e anche per velocizzare il programma, dall’altra parte della cattedra questo spesso vuol dire una cosa sola: meno lavoro per tutti e voti alti a buon mercato. Quella che finora è stata una considerazione empirica ha però un nome: parliamo dell’Effetto Ringelmann.
Prima di tutto una premessa doverosa: saper lavorare in gruppo è una qualità importante nel mondo moderno, complice l’aumento esponenziale della complessità in moltissimi ambiti lavorativi e sociali. Le diverse società e i singoli componenti sono sempre più interconnessi e interdipendenti; di conseguenza, saper interagire in modo efficace con gli altri si rivela spesso determinante per arrivare al successo. Consapevole di ciò, la scuola ha ampliato la serie di strumenti forniti agli studenti e alle studentesse per soddisfare la nuova richiesta di competenze. Basti pensare ai nuovi metodi didattici, di cui il cooperative learning, ovvero il nostrano “lavorare in gruppi”, è un esempio che risponde proprio a questa necessità. Ma, come spesso accade, tra intenzioni e reale applicazione il divario è consistente.
Penso di poter affermare con buona sicurezza che nell’esperienza di ogni studente il cooperative learning sia sempre stato associato ad un lavoro semplice, meno stressante, e perciò preferibile, rispetto a quello che si potrebbe fare in autonomia. Magari si è trattato di una sintesi o di un approfondimento di un argomento, anche se mai così distante da quanto si poteva già trovare nei libri di testo. Il numero dei componenti nei gruppi può variare, anche se in media oscilla tra le 3 e le 5 persone. Si distribuiscono ugualmente i compiti e gli argomenti, ma non è raro che qualcuno nel gruppo debba svolgere del lavoro aggiuntivo per supplire alle eventuali mancanze di un compagno. Il modo superficiale con cui in genere viene svolto il lavoro riflette l’atteggiamento del docente nel valutarlo, temendo di non valorizzare adeguatamente gli sforzi dei singoli membri. In definitiva si può convenire sul fatto che il risultato di un lavoro in gruppo spesso sia inferiore rispetto alla somma del lavoro medio dei suoi membri presi singolarmente. Questo è conosciuto come effetto Ringelmann.

Maximilien Ringelmann (1861-1931) fu il primo ad osservare la relazione inversamente proporzionale tra l’ampiezza di un gruppo e la sua produttività. L’esperimento che condusse per verificare la propria teoria si servì del tiro alla fune: Ringelmann scoprì che, man mano che si aggiungevano persone a tirare, queste esercitavano sempre meno forza, rendendo il loro sforzo inferiore a quello che avrebbero compiuto se fossero stati presi singolarmente. Questa osservazione contribuì a mettere in discussione l’idea che il lavoro di gruppo producesse sempre risultati migliori a favore dei membri. Le cause alla base di tale fenomeno sono 2: i problemi di coordinamento e la perdita di motivazione, anche detta pigrizia sociale. Se il primo aspetto appare abbastanza intuitivo da capire, il secondo ha diversi elementi interessanti che lo caratterizzano.

I fattori determinanti sono molteplici. Innanzitutto abbiamo i free-riding, ovvero un fenomeno per cui diversi membri del gruppo iniziano a pensare che il loro contributo non sia fondamentale, che possa facilmente essere distribuito tra gli altri vista la poca differenza che fa. Un esempio molto attuale è l’astensionismo, soprattutto quando giustificato con la sempreverde frase “Tanto anche con il mio voto non cambia nulla”. Oltre a ciò abbiamo la mancanza di identificabilità e di coinvolgimento. Se nel gruppo si dà scarsa riconoscibilità ai singoli membri, questi perderanno facilmente la motivazione e potrebbero cercare di evitare il lavoro, consapevoli della difficoltà di tenere traccia del loro apporto effettivo al gruppo. La perdita di pressione sociale ha in questo caso un effetto profondo sulla produttività. Una soluzione spesso proposta è quella della competizione amichevole o il ricorso a premi e punizioni per aumentare in coinvolgimento. Ma anche gli obbiettivi hanno una loro influenza: devono essere chiari, così da agevolare l’attività di monitoraggio dei risultati e soprattutto impegnativi, perchè per un compito facile l’impiego di un gruppo è inutile.
In definitiva, per quanto sia giusto ed utile sviluppare la capacità di lavorare in gruppo, soprattutto a scuola, forse, tenendo conto di questi fenomeni, potrebbe essere opportuno pensare a metodi alternativi o integrativi per farlo.
Giulio Bacciardi