Da Fichte al ‘caso Ratelband’: siamo noi a plasmare la nostra identità o lo Stato?

Un tutore della legge ti ferma mentre sei in auto, chiede le tue generalità e, come è ovvio che sia, gli consegni la tua personale carta d’identità. Egli controlla il tuo volto per vedere se corrisponde a quello che c’è sulla foto del tuo documento, controlla anche l’anno di nascita e talvolta ti chiede quanti anni hai. Per ovvia associazione logica, egli comprende che sei un uomo o una donna che dimostra di avere l’età indicata nel documento. Credi di essere davvero sicuro che quella data di nascita presente sul documento rispecchi davvero l’età che ‘senti’ di avere? Quante volte ti sei sentito più giovane o più vecchio di quel che sembri? Quante volte è capitato di essere scambiati per troppo giovani o troppo vecchi per l’età che dimostriamo di avere? Queste sono domande che potrebbero porsi di fronte ad ognuno di noi, come si sono poste di fronte a un uomo di nome Emile Ratelband. Ma di lui parleremo più avanti.

Fonte: ilcaffe.tv

Il tema dell’identità personale diviene centrale nel periodo rinascimentale ed ha sempre interessato, seppur inizialmente in minima parte, la filosofia. Con l’aumentare dei rapporti commerciali ed economici, la corrispondenza scritta divenne cruciale, come altrettanto fu l’impiego di ‘messi’ o messaggeri per il recapito di tali corrispondenze. Tali messi dovevano avere un riconoscimento ufficiale per il loro servizio e proprio per questo furono poi muniti di lasciapassare e passaporti, precursori degli odierni documenti d’identità. Con le varie guerre di religione succedutesi e il conseguente consolidamento di Stati a carattere nazionale, si sentì il bisogno di accertare l’identità degli individui. Se dapprima la testimonianza diretta fu rilevante, in seguito l’aiuto dei registri parrocchiali di nascita fu essenziale per far progredire l’accertamento delle identità. I registri di nascita, col tempo, cominciarono ad avere un carattere ‘statale’ e furono prontamente utilizzati dalle istituzioni. Lo Stato cominciava un processo di ‘svecchiamento’ del mondo precedente, iniziando a esprimere la propria influenza nella vita delle persone e a regolamentare i rapporti tra individui e istituzioni. Nel campo della filosofia, verso la fine del Settecento, il tedesco Johann Gottlieb Fichte contribuisce allo sviluppo del pensiero dell’idealismo, soffermandosi sull’individuo come soggetto che conosce la realtà e la costituisce. Oltre alla filosofia puramente idealista, Fichte elabora teorie sulla costituzione dello Stato con forte carattere nazionale e autarchico e, mentre il processo di costruzione di un’identità civile è ormai compiuto, scrive che “il principio cardine di uno stato ben regolato dalla polizia è questo: ogni cittadino dev’essere in ogni momento ed in ogni posto riconoscibile come questa o quella persona.” Fichte, quindi, crede nell’identificazione dei cittadini operata dallo Stato, i quali sentono il bisogno di un riconoscimento della propria persona da parte delle istituzioni.

Johann Gottlieb Fichte. (Fonte: lacooltura.com)

E qui entra in scena Ratelband. Ciò che ha proposto quest’uomo ha dato molto da pensare alle istituzioni. Emile Ratelband è un cittadino di 69 anni, una sorta di ‘guru motivazionale’ ed esperto in ‘programmazione neurolinguistica’ balzato agli onori della cronaca per aver chiesto al tribunale di Arnheim, in Olanda, di ‘poter abbassare la sua età anagrafica’. Egli afferma di non sentirsi addosso il peso dei suoi 69 anni, ma di ‘sentirsi’ 20 anni in meno, considerando la sua età anagrafica come un’etichettatura limitante che gli impedisce di conoscere gente su Tinder o di svolgere altre mansioni e attività che si addicono ad un ‘quasi 50enne’. Inoltre, nonostante riceva una pensione, Ratelband è disposto a rinunciarci pur di essere riconosciuto anagraficamente più giovane. A dar ulteriore prova di questo, egli dice di essersi sottoposto ad un check-up medico che attesta come il suo corpo sia talmente sano da avere l’età biologica di un 40enne. Insomma, Ratelband, che pur può permettersi di godere di uno stile di vita votato al benessere, ha sollecitato le istituzioni a riconsiderare il fattore età sotto l’ottica di una mera convenzione sociale. Se sento il mio corpo che non corrisponde all’età riportata su un documento di nascita, in virtù del mio certificato di nascita, perché non considerare di cambiare anagraficamente la propria età, come potremmo fare per il proprio nome o per il genere sessuale?

Emile Ratelband. (Fonte: rtlnieuws.nl)

Ratelband rovescia quella concezione fichteana secondo cui il riconoscimento della propria identità passa sotto la supervisione dello Stato, in cui gli individui hanno nome, sesso ed età riconosciuti ufficialmente da un certificato di nascita e un documento d’identità. Egli vuole essere considerato più giovane per aver accesso a servizi migliori, vuole ‘sentirsi’ più giovane in un mondo macinatore, che lascia indietro le persone anziane perché non sono più produttive. Forse Ratelband vuole avere la seconda occasione più importante della sua vita per aprire nuove porte, per avere ancora delle possibilità. Siamo noi a decidere chi siamo o la nostra carta d’identità? Se mentalmente, e anche fisicamente, ci sentiamo più giovani, è fattibile chiedere una riduzione della propria età anagrafica? Per quanto sia bizzarra questa richiesta, il cittadino olandese ha voluto probabilmente optare per una provocazione filosofica, per farci riflettere sulla nostra identità e per dirci che siamo soprattutto noi stessi a costituire la nostra identità. Un appello ad un individualismo indipendente contro un controllo dello Stato che ci riduce in numeri su dei documenti. Questa è l’ultima provocazione di Emile Ratelband.

Luca Vetrugno

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