Autolesionismo. Una parola, mille sfaccettature. L’etimologia del termine è piuttosto semplice: causare in modo intenzionale un danno al proprio corpo, procurandosi tagli, lividi, escoriazioni. L’obiettivo dell’autolesionista non è quello di uccidersi, bensì di trovare conforto nel dolore. Ecco perché definirlo da un punto di vista psicologico è sicuramente più complesso.
Che cos’è l’autolesionismo?
L’autolesionismo è un mostro apparentemente buono. Probabilmente un vortice ingestibile di emozioni. Autolesionismo è sinonimo di rabbia, frustrazione, vergogna, depressione. é un pò assuefarsi in un’oscurità di apparente piacere. E lo stesso piacere, paradossalmente, è causato da un dolore intenzionale, quasi liberatorio. Ecco che il corpo diviene un quadro: dipingere la propria sofferenza in un’intricata tela già disegnata. In questo modo la frustrazione prende forma, la vergogna prende forma, la rabbia prende forma. E il sollievo che ne deriva dopo è passeggero, fugace, rapido. A questo punto ripetere la stessa azione diventa necessario. Necessario è procurarsi nuovamente tagli, lividi, escoriazioni. Come se la prima scarica di adrenalina non fosse sufficiente, un pò come succede con la dipendenza da droghe. E così il quadro si concretizza in un”armonia’ di emozioni contrastanti. Non è semplice disegnare un’emozione, eppure i tagli e i lividi manifestano la potenza di un dolore incontrollabile. Si entra in un circolo vizioso, terrificante e il mostro cresce diventando gigante, quasi insormontabile. Ma non imbattibile.
Quel sollievo che aiuta il soggetto autolesionista a ricongiungersi con sé stesso è un sollievo camuffato e ingannatore. Il dolore tornerà, così come tornerà l’esigenza di smorzare la sofferenza con un taglio profondo. E quel quadro sembrerà incompleto, l’autolesionista avrà voglia di aggiungere tanti piccoli e grandi dettagli ogni qualvolta si sentirà sopraffatto da un’emozione.
Perché farsi del male?
Non è semplice rispondere a questa domanda. L’autolesionista trova conforto in qualcosa di ‘sbagliato‘, pericoloso, ‘inopportuno’. Almeno questo secondo il senso comune. Esistono delle emozioni talmente intense, travolgenti e a grande impatto violento di cui è difficile disfarsi. L’emozione in questione trova sfogo in un lampante atto autolesionista e così, quella solitudine estrema, quella tristezza destabilizzante e quella rabbia impetuosa, si infrangono in uno scoglio apparentemente sicuro. Per gli autolesionisti non è facile esprimere le proprie emozioni a parole o scriverle semplicemente. Proprio per questo ricorrono allo sfogo attraverso il dolore.
Contrariamente a ciò che si pensa, con l’autolesionismo non si cercano attenzioni, anzi, il soggetto spesso si nasconde e si vergogna perché è terrorizzato dal fatto di essere considerato stupido o addirittura disgustoso.
Tutto ciò si esplica in una profonda insicurezza e in una mancanza di autostima. Il soggetto si sente invisibile, è depresso e solo grazie al dolore e alle cicatrici può dimostrare a sé stesso la sua presenza.
L’autolesionismo è un mostro apparentemente buono. Ma non imbattibile. Un mostro che va accettato, accolto, ascoltato e poi sconfitto.