Nonostante tutte le promesse elettorali mancate, Donald Trump sembra deciso a mantenere un attegiamento che lo ha contraddistinto anche prima della sua carica: il totale disinteresse per la salvaguardia dell’ambiente e il sospetto, addirittura complottistico, verso le prove scientifiche dei cambiamenti climatici. Il Presidente degli Stati Uniti d’America è infatti arrivato ad affermare, in un tweet, che tali teorie siano nient’altro che una trovata del governo cinese volta a rendere non competitiva l’industria americana, sebbene la Cina abbia dato la sua adesione agli Accordi di Parigi. Di conseguenza la nuove modifiche apportate al al “Clean Power Plan” dell’era Obama, le quali prevedono lo svincolamento dei diversi Stati dalle direttive federali che limitavano le emissioni di CO2, non stupiscono. Ma anzi si inseriscono in un quadro alquanto preoccupante.
Le politiche di Trump sull’ambiente finora
Fin dall’inizio del suo mandato, il leader politico americano si è posto come obiettivo il rilanciare l’industria dei combustibili fossili, facendo ricadere la responsabilità di aver limitato lo sviluppo economico del Paese e la creazione di nuovi posti di lavoro sul suo predecessore. Bisogna, però, sottolineare che non è solamente la produzione di energie rinnovabili ad aver subito un duro colpo. Tra i provvedimenti antiecologici di Trump più eclatanti figurano, al momento:
- Il taglio di 1/3 dei fondi volti all’Enviromental Protection Agency (EPA), il “ministero dell’ambiente” americano
- La vendita di territori appartenenti a riserve naturali per l’estrazione del petrolio e del carbone
- L’accusa al U.S. Fish and Wildlife Service di sperperare soldi per la salvaguardia di specie animali che, a detta del Presidente e del suo entourage, non sarebbero realmente a rischio d’estinzione (non tenendo conto, ancora una volta, delle prove scientifiche)
- L’uscita dagli Accordi di Parigi, il più importante dei trattati internazionali che pongono obiettivi progressivi, trattati e discussi da ogni singolo Paese che vi aderisce volontariamente, per la riduzione delle emissioni di gas serra
Ripercussioni per l’America e per il mondo
Appare quasi impossibile credere che Trump sia convinto, come egli sostiene, che queste prese di posizione possano garantire all’America acque e aria più pulite e una migliore qualità di vita. Specie riguardo quest’ultimo punto, i dati statistici non mentono: secondo gli esperti le emissioni nocive subiranno un aumento di almeno il 16% durante la durata della sua presidenza, arrivando a causare la morte di 80000 persone in più all’anno, oltre che problemi respiratori per circa un milione di persone. Un’immagine di certo non rassicurante, aggravata dall’assenza di un sistema di sanità pubblica. Un altro aspetto paradossale è come l’America stia completamente ignorando i risvolti negativi sull’economia stessa che i cambiamenti climatici portano inevitabilmente con sè. Anche se alcuni tipi di industria potrebbero trarre profitto dalle nuove tecnologie richieste per adattarsi al surriscaldamento globale, l‘innalzamento del livello del mare, la desertificazione, la più alta probabilità di disastri naturali e la crescita del numero dei migranti climatici andrebbero a toccare qualsiasi settore. Specialmente il più basilare e fondamentale per il nostro sostentamento: l’agrario, senza escludere pesca e allevamento. E anche se l’America e le Nazioni più avanzate potrebbe trovare un modo efficiente di limitare i danni (non senza cambiare decisamente atteggiamento), sarebbero i Paesi in via di sviluppo a pagare il prezzo più caro.
Comprendere e combattere questa visione
Verrebbe da chiedersi, al termine di questa analisi, se le decisioni di Trump non dipendano anche dalla sua ideologia politica. Il secondo slogan più celebre del Presidente, dopo “Make America Great Again”, è “America First”, a indicare una convinzione di stampo nazionalistico e conservatore. Perciò la messa in secondo piano dell’ambiente va letta nell’ottica di una strategia di prestigio egemonico, economico e militare, che gli USA cercano di portare avanti sulla scena globale. A sostegno di ciò vanno le numerose similitudini che si possono riscontrare con Putin, anch’egli pronto a sacrificare le preoccupazioni ecologiche a favore di leggi con un ultimo fine nazionalistico. Ma si riscontra una generale mancanza di attenzione al futuro in quasi tutti i leader mondiali, motivata, probabilmente, dalla ricerca di un benefici immediati che soddisfino gli elettori e le lobby. Eppure i trattati quali gli Accordi di Parigi, nonostante si sperasse in una loro efficacia maggiore, sono degli strumenti indispensabili nella lotta ai cambiamenti climatici e all’inquinamento. Non per un loro valore vincolante (che sarebbe impossibile garantire senza un governo internazionale), quanto allo spazio di dialogo che aprono tra Nazione e Nazione, e tra comunità scientifica e politici. E questo dialogo è fondamentale per incoraggiare una tendenza internazionale che ci porti, un giorno, ad abbandonare le false priorità per quelle che contano davvero.
Giulia Onorati