Quando la notte tra il 29 e il 30 luglio l’atleta azzurra di origini nigeriane Daisy Osakue faceva rientro nella sua abitazione a Moncalieri, non attendeva certo un’aggressione. D’altra parte non l’attenderebbe nessun cittadino di nessun paese, a prescindere da ogni eventuale discriminante fisico o sociale, dal colore della pelle o dalle proprie condizioni economiche. Anche la mano a mezz’aria del ragazzo pronto a colpirla non credeva certamente che una ‘bravata’, come in seguito è stato etichettato il gesto, potesse tracciare un ritratto fedele di un’intera nazione. Ma la propaganda è propaganda, che si tratti di un comizio, di una manifestazione, di un giornale, o di un uovo. Allora, quando le indagini dei carabinieri hanno rintracciato la Fiat Doblò che la notte tra il 29 e il 30 luglio conteneva tre ragazzi torinesi impegnati in atti di goliardia, l’ipotesi di razzismo è stata respinta al mittente e il polverone si è trasformato in complottismo. È tornata in auge l’accusa di falsificazione delle informazioni, il grido ai radical-chic delle fake news, le cronache da una realtà distorta in cui non esiste alcun filtro a discernere un’opinione valida da un vagheggiamento edonistico e vittimista, come esplicitamente è stato catalogato il comportamento dell’atleta azzurra. Se poi Matteo Renzi twitta lo sconcerto per l’ennesimo episodio di razzismo mentre pochi giorni dopo salta fuori che uno dei tre ragazzi è figlio di un consigliere del PD, è pronta la frittata. “Pare che uno dei “lanciatori” sia figlio di un consigliere comunale PD!”, ironizza Matteo Salvini seduto a capotavola nella sala da pranzo di Facebook, dove qualche commensale prova a farsi lanciare addosso un uovo per comprendere se effettivamente faccia così male. Eppure a qualche inetto non sembra ancora così strano collegare eventi simili a quanto accaduto a Moncalieri ad episodi di razzismo. Ci sarà pure un motivo che sfugge ai compagni di Trimalchione in questo minestrone macabro e nauseabondo. Ad esempio, qualcosa potrebbe sfuggire a Luigi di Maio quando spiega che il problema sia la percezione e non la realtà dei numeri, e sfugge anche ai cronisti del Giornale quando celebrano la diminuzione delle vittime di razzismo rispetto al governo del PD. È forse la relatività del parametro di confronto, considerando l’aumento delle stragi contro cittadini stranieri ed extracomunitari passate da 3 a 6 nel primo semestre del 2018, oppure gli omicidi volontari passati da 21 a 28, o ancora le 30 aggressioni fisiche razziste a partire dal 1 giugno 2018, una media di una ogni due giorni.

O potrebbe essere il baratro verso cui tendiamo inevitabilmente, una distruzione tremenda in tempo di pace che nulla avrebbe da invidiare agli anni di guerra col suo modo subdolo di penetrare ogni fessura restituendo crepe insanabili. Accade che ‘la goliardia’ di alcuni ragazzi diventi il baluardo difensivo in cui trova rifugio chi viene accusato, a ragione o a torto, di spingere la popolazione verso un odio razziale non dissimile da una generalizzata misantropia se connesso alla paura verso quanti potrebbero intaccare lo status personale. Accade che la realizzazione del presente debba reggersi sul confronto col passato e il successo debba deriverare necessariamente in negativo, se ricavato dal continuo screditare le opere degli sfidanti fregiandosi delle minime differenze percentuali, peraltro errate. La costruzione dell’impianto governativo nel terreno sabbioso della boria che maschera l’incertezza, indurrebbe con malizia ad immaginare i risvolti di una possibile sparizione immediata di tutti i ‘nemici’ con annessi parametri di confronto, restituendo una realtà in cui ci si dovrebbe vantare della bontà delle proprie opere senza l’apporto di nessun termine di paragone. Ma l’attenzione è rivolta verso un altro fronte ben più complesso: quello prodotto dal collasso di una nazione in preda al disordine e alla distruzione di ogni possibile valore. Un’Italia martoriata come in tempo di guerra, dove i resti delle case sventrate e le ammucchiate degli edifici crollati, hanno lasciato spazio alla spersonalizzazione dell’essere umano, privato della dignità personale nelle goliardie delle serate tra ventenni che per combattere la noia lanciano oggetti dalle automobili in corsa. Il crollo del prestigio di tutti quei valori declassati e abbandonati nell’oblio del tempo, ha prodotto una crisi totalizzante dalla quale non è possibile escludere il genitore consigliere del PD o l’antagonista Ministro dell’Interno della Lega che ha bisogno di evidenziare come l’educazione di un ragazzo dipenda dal partito politico del padre. In un futuro non troppo remoto ci troveremmo a recitare le tabelline intrise di una cultura stereotipata, dove figliolo ventenne per genitore PD farebbe uova lanciate dalla macchina in corsa e figliolo ventiduenne per genitore leghista farebbe 49 milioni di debito

La perdita di valori riguarda tutti, benchè in primo luogo ci siano i figli di quella borghesia senza partito che continua a discutere di polvere e vacuità, mentre qualcuno affoga in mare e i loro figli ridicolizzano i professori o si aggregano in baby gang passando il tempo a martirizzare i compagni più deboli o le persone inermi, dimostrando una misantropia di cui una costante è l’odio razziale. Un odio che esiste e deve essere inserito all’interno della cornice socio-culturale in cui s’innestano i 12 morti dell’ultima settimana nel foggiano e i milioni di schiavi degli ultimi anni, specchio di una problematica che ha corroso dall’interno il sistema rilasciando uno spettacolo macabro e scabroso: l’orizzonte tremendo scorto nelle camminate tra le macerie di valori che accompagnano la perdita di un’ umanità rappresentata in ultimo da un volto sporco e sofferente. Nessuno avrebbe pensato che per tracciare il ritratto fedele di una nazione servisse una ‘goliardia’ catalogata nella cronaca spicciola. In fondo si tratta solo di un uovo, ha detto qualcuno. Considerate allora, se questo è un uovo.
Pierfrancesco Albanese