Perché ingegneria è considerata la migliore facoltà? Ce lo spiega Nietzsche

Quante volte abbiamo sentito dire, dai nostri amici iscritti ad ingegneria, che la loro è la facoltà più difficile o, più “semplicemente”, la migliore? Quante volte, sopratutto a noi studenti umanistici, ci hanno rimproverato di studiare materie astratte, lontane da quella che è la vita? Ma è davvero così? Apparentemente la risposta non potrebbe che essere positiva. La figura dell’ingegnere sta assumendo sempre di più un ruolo centrale in ambito lavorativo. Già Nietzsche, nel 1887 in “Genealogia della morale”, definiva la figura tipica dell’intellettuale moderno quella dell’ingegnere. Egli infatti non si arresta di fronte a niente, ma scava nei recessi più nascosti della vita per finalizzarli all’organizzazione tecnica del mondo. Ma da dove nasce questa concezione verso l’ingegnere e l’ingegneria?

Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844 – 1900)

Il non-vero come condizione della vita

Uno dei primi aspetti che caratterizza il valore dell’ingegneria è sicuramente dato dalla concezione comune riguardo alle materie che stanno alla base di questa disciplina. Matematica e fisica sono considerate quasi univocamente le uniche scienze vere. Parlare in termini matematico-fisici sembra equivalente a parlare in termini di verità. Dunque l’ingegneria potrebbe essere considerata la migliore facoltà perché studia cose oggettivamente vere. Ma è davvero così? Nietzsche risponderebbe in maniera fermamente negativa. Secondo il filosofo tedesco i numeri della matematica sono entità false, come false sono le leggi fisiche. Nella nostra interpretazione comune infatti la fisica rappresenta l’esatta misurazione del mondo secondo leggi sistemiche di regolarità. Queste leggi però in realtà non sono assolutamente oggettive, ma rappresentano soltanto la nostra lettura della natura. Matematica e fisica non sono dunque scienze oggettive, ma soltanto interpretazioni del mondo. Esse dunque sono non-verità. Ma, come tutte le non-verità, sono essenziali alla nostra vita e senza di esse non potremmo vivere. L’ingegneria dunque studia entità false ma che nella loro falsità sono funzionali alla nostra vita. Allora, se non la verità, potrebbe essere almeno questo carattere di funzionalità il grande merito dell’ingegneria?

Il pensare che diventa direttamente legato all’organizzazione tecnica del mondo.

Critica all’organizzazione tecnica del mondo

Nel 1886, in “Al di là del bene e del male”, Nietzsche si scaglia polemicamente contro il positivismo, considerato come la filosofia della tecnica moderna. Secondo Nietzsche il positivismo, e di conseguenza quella visione del mondo propria del mondo moderno tecnicamente organizzato, riduce il mondo stesso a semplice apparenza. La filosofia positivistica, i cui concetti sono oggi incarnati dall’ingegneria, è dunque pragmaticamente distante dalla vita. Se noi infatti possiamo usare i numeri o le leggi fisiche per promuovere e facilitare la vita, non possiamo però ridurre la vita a semplici numeri o a semplici leggi fisiche. La filosofia positivista allora e l’ingegneria oggi rappresentano dunque una distanza dalla vita, perché vogliono racchiudere essa in un semplice schema logico-matematico, che è lo schema della tecnica attuale.

L’artificiale che diventa naturale

Questa organizzazione tecnico-scientifica del mondo nega la vita in quanto è legata all’elemento artificiale. L’artificiale, ciò che è creato dall’individuo in senso sistematico e organizzato, definisce dunque in ambito paradigmatico, quella che sono le forme di organizzazione del mondo. La scienza, come direbbe Marx, è l’ideologia di questa organizzazione tecnica del mondo. Il problema non sta tanto nella capacità umana di intervenire sul mondo. Questa è una prerogativa essenziale dell’uomo. Il problema sta nel fatto che questo intervenire sull’ambiente naturale si declina nel trasformare l’artificiale in naturale. Quando il nostro riferimento non è più al naturale in quanto naturale, ma ad un artificiale diventato e pensato come naturale, il naturale in sé e per sé scompare, e noi dunque neghiamo la vita stessa.

Circuito di testa di uomo. Astrazione della mente pensante. La mente umana dal punto di vista della tecnica.

 

 Quale tipo di soggettività abbiamo nell’ingegneria?

L’artificiale che si fa naturale definisce una cornice che nega la vita stessa in quanto fa riferimento, per usare un termine della Scuola di Francoforte, ad una ‘soggettività di sostituzione’. La soggettività che troviamo in una visione del mondo come quella dell’ingegneria, una visione che organizza tutto tecnicamente, è una soggettività artificiale. Tale soggettività artificiale però si mostra come soggettività autentica e vuole riportare a sé ogni dimensione di naturalità. La vita dunque viene ridotta totalmente nell’elemento dell’artificiale. Questo artificiale poi si esprime in ciò che noi vediamo come immediatamente evidente. La tecnica, espressione dell’ingegneria, riduce dunque il reale del vero a ciò che ci appare. Il vero diventa il mondo dei fatti. Gli uomini, di conseguenza, vengono ridotti, come direbbe Husserl, a semplici ‘uomini di fatto’, dunque uomini che non valgono nulla.

E dunque?

L’uomo, divenuto semplice uomo di fatto, non riesce più dunque ad andare oltre a quella che è la certezza sensibile, non riesce più ad indagare il senso dietro a ciò che gli appare immediatamente come evidente. L’ingegneria dunque oggi è ritenuta la “migliore” facoltà proprio perché, organizzando la vita immediata degli uomini, è ritenuta la più funzionale ad essa. Ma la vita, come direbbe Nietzsche, non può ridursi solamente a ciò. Non possiamo negare l’incredibile importanza che l’ingegneria riveste nella nostra quotidianità, come non possiamo sostenere che il senso della vita stessa dimori unicamente in qualche costruzione trascendente. La vita non è solo il sensibile e non è solo l’oltre sensibile. La vita è un qualcosa che eccede entrambi gli aspetti perché essa è tutto. Noi dunque non possiamo negare nessuno dei suoi aspetti, ma dobbiamo accoglierla nella sua completezza.

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