Nuova frontiera della medicina: un prelievo sanguigno per l’accertamento dell’Alzheimer

L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che causa, tra le varie conseguenze a livello clinico, una grave forma di demenza, ossia una perdita progressiva della memoria, del raziocinio e del movimento. Tale disturbo si manifesta solitamente in individui al di sopra dei 65 anni di età anche se alcune varianti meno comuni possono svilupparsi in età adulta.
La perdita di memoria è il sintomo più comune dell’Alzheimer: inizialmente può verificarsi in maniera latente, con poche dimenticanze e distrazioni, ma può peggiorare al punto che interferisce con le più basilari azioni giornaliere. Man mano che il disturbo si manifesta, molte persone affette cambiano la loro personalità e il loro comportamento con conseguenti problemi gravi di relazione interpersonale. Altri sintomi comuni sono agitazione, irrequietezza e perdita delle capacità linguistico-comunicative. Gli individui affetti solitamente sopravvivono tra gli 8 e i 10 anni dopo la comparsa dei sintomi anche se il decorso della malattia può variare tra gli 1 e i 25 anni.

Eziologia della malattia: predisposizioni genetiche all’Alzheimer

In molti casi clinici l’Alzheimer è causato da mutazioni genetiche ereditabili e di conseguenza trasmissibili nel contesto familiare. Vari team internazionali di ricerca hanno isolato tre geni principali responsabili dell’insorgenza di tale disturbo neurodegenerativo:

  • APP (cromosoma 21), contenente le informazioni necessarie per la traduzione di una proteina detta proteina amiloide precursore. Quest’ultima è presente in molti tessuti ed organi, anche nell’encefalo e nel midollo spinale. è ancora ignota la funzione di tale proteina precursore e si ipotizza che possa essere coinvolta nel legame tra cellule diverse e nel movimento dei neuroni nelle prime fasi ontogeniche. Più di 50 mutazioni a carico di questo gene possono causare l’Alzheimer. Tali modificazioni nucleotidiche comportano la sostituzione di una valina con un isoleucina al 717° posto nella catena polipeptidica. Ciò comporta un aumento del peptide amiloide β, con conseguente accumulo nel cervello e formazione delle placche amiloidi. Queste ultime risultano essere neurotossiche siccome possono portare alla morte delle cellule neuronali con un sostanziale peggioramento del quadro clinico. 
APP
Struttura 3D della proteina precorritrice della beta-amiloide (APP). Essa è il precursore della beta-amiloide, peptide coinvolto nella formazione delle placche amiloidi, responsabili della comparsa di differenti malattie neurodegenerative.
  • PSEN1 (cromosoma 14), depositario delle informazioni per l’espressione della proteina presenilina 1. Quest’ultima fa parte di un complesso proteico detto γ-secretasi, ad azione peptidasica (scissione delle proteine in brevi peptidi). Essa è presente nella membrana plasmatica dove distrugge varie proteine transmembrana garantendo un corretto svolgimento della trasmissione dei segnali tra ambiente cellulare ed extracellulare. Il complesso γ-secretasi è meglio conosciuto per il suo ruolo nella degradazione della proteina amiloide precursore (APP) e dei peptidi amiloidi β. Più di 150 mutazioni a carico di PSEN1 sono state identificate nei pazienti con l’Alzheimer e rappresentano totalmente la causa principale nel 70% dei casi clinici di tale patologia. Quasi tutte le mutazioni sono di natura puntiforme in un particolare segmento del gene con conseguente alterazione della presenilina 1 prodotta. Tale proteina modificata non riesce a processare correttamente l’APP causando un accumulo di tale sostanza, nonché del peptide amiloide β.
  • PSEN2 (cromosoma 1), che codifica per la presenilina 2. Questa proteina aiuta la degradazione o la modifica conformazionale delle proteine che trasmettono dei segnali chimici dalla membrana cellulare verso il nucleo. Una volta arrivati nel nucleo, questi segnali “attivano” i geni che sono importanti per la crescita cellulare e la maturazione. Differenti studi scientifici rivelano che la presenilina 2 collabora alla scissione dell’APP in segmenti più corti. Circa 11 mutazioni a carico di PSEN2 sono correlate all’insorgenza dell’Alzheimer anche se tutti gli eventi registrati non raggiungono neanche il 5% della casistica totale. Una mutazione sostituisce l’asparagina con l’isoleucina in posizione 141° mentre un’altra sostituisce la metionina con la valina in posizione 239.

Un prelievo di sangue permette la diagnosi precoce dell’Alzheimer

Le pratiche diagnostiche oggi diffuse per accertare l’insorgenza dell’Alzheimer sono principalmente l’imaging e l’analisi qualitativa del liquido cerebrospinale. 
Un team di ricercatori della Brigham and Women’s Hospital di Boston ha messo a punto una nuova procedura sperimentale diagnostica per tale malattia neurodegenerativa basata su un semplice prelievo di sangue. 
L’articolo scientifico che descrive questo nuovo approccio clinico al disturbo è stato pubblicato a Novembre sulla prestigiosa rivista Alzheimer’s & Dementia. Gli scienziati che hanno collaborato a questo progetto di ricerca ritengono che si possa diagnosticare l’Alzheimer in base all’analisi quantitativa di un determinato sottogruppo di proteine tau. Queste ultime, in condizioni normali, sono coinvolte nella stabilizzazione dei microtubuli cellulari (infatti sono delle MAP,ossia delle proteine associate ai microtubuli) e sono altamente espresse nei neuroni, negli oligodendrociti e negli astrociti dell’SNC e dell’SNP.

Tau
Struttura tridimensionale di una proteina tau.

Nella malattia di Alzheimer, l’aumento intracellulare di betamiloide causa un’anormale fosforilazione delle proteine tau causandone un rilascio dai microtubuli in una forma solubile monomerica. Ciò ne causa uno spostamento verso i compartimenti somatodendritici dei neuroni dove le proteine tau bloccano la chinasi SRC della tirosina. I ricercatori hanno testato vari protocolli sperimentali per la determinazione di differenti tipi di molecole tau sia nel sangue che nel liquido cerebrospinale giungendo alla messa a punto dell’NT1 assay, specifico per un frammento delle proteine tau espresse esclusivamente nei malati di Alzheimer.
In questo modo, nel caso in cui la ricerca dovesse ricevere altre conferme sperimentali da parte della comunità scientifica internazionale, la diagnosi dell’Alzheimer avrebbe un grande successo terapeutico siccome sarebbe in grado di rivelare l’insorgenza del disturbo nei suoi primi stadi  permettendo di conseguenza un tempestivo intervento clinico con un miglior margine di successo nel follow-up medico.  

                                                                                                    Roberto Parisi

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