“Adesso non me la sento, lo faccio dopo”, “Aspetto ancora un po’, ho tempo”, “Non ho tanta voglia, lo farò più avanti”, “No, oggi no, inizio domani”.
Alzi la mano chi almeno una volta ha detto una di queste frasi. Nella società occidentale in cui viviamo ci viene insegnato ad essere sempre positivi, entusiasti, attivi, “affamati”, di avere sempre un atteggiamento ottimista e, qualora così non fosse, di poter e anzi di dover cambiare il nostro stato mentale (mood) in meglio. Dobbiamo insomma dominare le nostre emozioni, in modo che queste non intralcino un sano sviluppo del vivere.
Ma questo non sempre è possibile: i “demoni dell’inazione” come paura, ansia, noia, distrazioni, insicurezze, etc…, ci bloccano, generando inerzia e immobilismo, in attesa di essere dell’umore migliore, rimandando in questo modo compiti e doveri.

Una possibile quanto intrigante soluzione arriva dal Giappone, nelle vesti di Shoma Morita, psichiatra giapponese ideatore nel 1919 della terapia Morita, forma di psicoterapia fortemente influenzata dal Buddhismo e dalla filosofia Zen. Diversamente dal paradigma occidentale, volto a modificare le emozioni, la terapia Morita configura le emozioni come una risposta naturale, incontrollabile, al pari di uno tsunami o di un evento meteorologico, agli eventi della vita e vanno dunque accettate per quello che sono: tentare di modificarle può peggiorare soltanto il nostro stato emotivo, nell’eventualità in cui si fallisca.
Bisogna dunque accettare il proprio stato d’animo come un aspetto della vita, senza tentare di mutarlo o combatterlo, scindendo l’azione dal suo valore emozionale. La terapia è quindi una terapia centrata sull’azione, che acquisisce ruolo primario rispetto al proprio stato d’animo e che insegna ad accettare i propri sentimenti, poiché attraverso l’azione si modificheranno autonomamente. È il compimento dell’azione, degli obiettivi prefissati, che porta benessere, ed a sua volta ha effetto sul proprio stato emotivo: è l’agire che migliora il vissuto emotivo e non il contrario.

In ambito psichiatrico, la terapia Morita è utilizzata soprattutto in Cina e Giappone, con diffusione modesta in Occidente, e ha mostrato risultati incoraggianti soprattutto in trattamenti con pazienti schizofrenici, schizotipici e affetti da disturbi d’ansia (He & Li, 2007). Consiste in un severo lavoro disciplinato da parte del paziente, in quattro fasi per una durata variabile fino ad un mese: la prima fase è di totale riposo in isolamento, lontano da ogni stimolo di distrazione esterno, al fine di prendere coscienza di sé e dei propri pensieri. Quando il paziente è pronto a tornare all’azione, si passa alle fasi successive di lavoro progressivo, prima monotone e leggere e via via più fisicamente faticose. L’ultima fase è quella che prevede il ritorno alla vita reale, proseguendo gli esercizi di meditazione svolti durante la terapia.
Quindi che aspettate? Smettete di rimuginare e rimandare e passate all’azione!
Marco Funaro