Cosa ci dicono i ricercatori?
A sostenere le ipotesi di crescente razzismo sono le ricerche della Caritas e dell’Istituto per lo Studio della Multietnicità. I grafici parlano chiaro: nel 2016 la percentuale dei musulmani in Italia era del 4%. Ma secondo i cittadini italiani, i praticanti della religione islamica erano il 20%. Un’evidenza che mostra come la percezione della realtà sia molto alterata. Insomma, nel 2014 su un totale di più di 60 milioni di abitanti solo 2,5 milioni praticavano la religione musulmana, ma gli italiani ne vedevano circa 12 milioni.
Dove sta la gravità di questi dati?
Questi sondaggi sono preoccupanti perché rispecchiano un senso d’imminente invasione islamica in Italia che inizia a farsi strada non solo nel Belpaese ma anche in Europa. Un sentimento che non va diminuendo, fomentato anche dall’impressione che il numero d’immigrati presenti in Italia andrà crescendo esponenzialmente.
Questa paura è fondata?
Le famiglie musulmane sono spesso numerose ma le attuali stime del Pew Forum ci rivelano che nel 2030 la presenza di persone praticanti l’Islam si aggirerà intorno ai 3,6 milioni, quindi il 6,2% della popolazione italiana.
E se non bastano questi dati a rassicurare gli elettori dell’attuale governo, arriviamo fino al 2050: per questa data la crescita sarà stabile e più facile da calcolare. Si stima che la presenza musulmana si fermerà al massimo al 9% della popolazione complessiva italiana. Questo perché dalla “seconda generazione” si tende ad adattarsi alla società d’arrivo e il numero di figli tiene conto degli standard di vita diversi dal paese d’origine.
Riassumendo, non abbiamo 12 milioni di musulmani in Italia su un totale di 60 e tantomeno verremo sommersi a breve da un sacco di bimbi che pregano verso la Mecca cinque volte al giorno. Ma non si può negare che la distorta percezione della presenza musulmana in Italia sia poco rilevante.
Perché molti italiani pensano che presto saremo “invasi” dai musulmani?
Da qui, si può andare solo per ipotesi. Ipotesi fondate, supportate da evidenze scientifiche e anni di studio ma pur sempre ipotesi. Per capirle, dobbiamo fare però una bella retromarcia temporale.
Siamo nel boom economico degli anni ’60. L’Europa necessita lavoratori per ricostruirsi e apre le porte all’immigrazione regolare. Si tratta soprattutto di uomini soli che guadagnano il più possibile con l’intento di tornare poi nel paese d’origine. La religione, soprattutto quella islamica, rimane privata. Non è percepita come elemento di pericolo dal popolo perché non influisce sulla vita pubblica. Non sono necessari luoghi di culto, non ci sono molte donne che girano col velo, non vengono avanzate molte richieste.
Questo cambia negli anni ’70, quando lo shock petrolifero arresta bruscamente l’economia. L’immigrazione non è più agevolata e chi è già in Europa preferisce far arrivare la famiglia in un paese ricco che riunirsi nel povero paese d’origine. La religione inizia quindi a essere un elemento presente nella sfera pubblica occidentale. Cresce l’esigenza del musulmano di educare i figli secondo i propri principi che però poco si adattano alla società europea e vengono percepiti come “strane usanze straniere”. Seguono i primi grandi interrogativi sulla legittimità del velo, sulla presenza dell’insegnamento islamico nelle scuole, sulla costruzione dei luoghi di culto, sull’alimentazione etc. Di conseguenza inizieranno anche le ostilità verso l’Islam, visto come una nuova religione che limita in molti casi il dialogo e l’integrazione.
Ad oggi, poco è cambiato: i problemi d’integrazione non sono diminuiti e anzi si sta assistendo a una crescente preoccupazione nei confronti dell’Islam, senza dubbio alimentati da altri fattori tra cui l’elevata attenzione mediatica, la disinformazione, la paura del terrorismo e dell’estremismo. E permettetemi di dirlo: queste false percezioni potrebbero rivelarsi in futuro un mix esplosivo.
Giada Annicchiarico
NB Se questo articolo può sembrare di parte, ricordo ai miei venticinque lettori che i dati e le percentuali non hanno colore politico.