Ho tradito Marx ascoltando Battisti : il fascino dell’assoluto

e più in alto e più in là
se chiudi gli occhi un istante
ora figli dell’immensità.”

(Lucio Battisti, “la collina dei ciliegi”)

le idee non possono realizzare nulla, per realizzare le idee, c’è bisogno degli uomini, che mettono in gioco una forza pratica”

(Karl Marx, “La sacra famiglia”)

Platone, il cristianesimo, Leibniz, Hegel contro Aristotele, Democrito, Locke e Marx. Razionalisti contro empiristi, idealisti contro materialisti. La storia della nostra filosofia ha sempre visto la contrapposizione tra coloro che collocavano la verità in un mondo altro e chi invece sosteneva che l’aletheia si trovasse nel nostro mondo e fosse recepibile dai nostri sensi. Tralasciando i vari motivi per cui questi pensatori hanno deciso di porre la verità qui o altrove, possiamo notare come la tendenza di trascendere il nostro mondo, collocando la verità in un altrove spazio-temporale, sia sempre stata fortissima. Kant, nella prefazione alla “Critica della ragion pura”, definì infatti la metafisica come una “disposizione naturale dell’animo”. Più volte è stata inoltre posta l’equazione homo sapiens=homo trascendens. E’ innegabile però che i presupposti di Razionalismo e empirismo, spiritualismo e materialismo: siano fondamentalmente gli stessi: potremmo dire, con Aristotele, che entrambe le correnti di pensiero trattino “delle cause (aitia) e dei principi ultimi (archai) di tutte le cose.”

E’ interessante ricordare, ai fini del nostro discorso, una celebre espressione di William James, filosofo pragmatista che lavora a cavallo tra XIX e XX secolo, secondo cui la metafisica razionalista, con la sua peculiarità di porre la verità e la salvezza altrove, conceda una “vacanza morale.” E’ proprio questo il motivo per cui probabilmente le dottrine spiritualiste, sebbene condividano con quelle materialistiche l’istanza aristotelica di spiegare cause e principi ultime, hanno attirato una grande attenzione: esse danno rappresentazione di quella tendenza dell’uomo a superarsi e allo stesso tempo a rimpicciolirsi, sdoppiandolo in un essere mortale, finito e dunque minuscolo rispetto allo spirito del mondo ma che allo stesso tempo è l’unico essere in grado di trascendere, almeno in potenza, questa finitezza per attingere all’assoluto, sia questo un’idea platonica o lo spirito assoluto hegeliano.

Probabilmente nella nostra storia della filosofia, nessuna coppia di filosofi ha messo in luce questa polarità meglio di Hegel e Marx. Da un lato il pensatore dell’idea, dell’assoluto, dello “spirito del mondo che si fa da solo”, dall’altra il padre del materialismo storico che una volta promise addirittura che la sua opera avrebbe “ eliminato le verità assolute ed eterne” e che credeva che non c’era nulla di esterno al mondo che creasse difficoltà agli uomini, in quanto questi ultimi : “non si pongono mai problemi che non sono in grado di risolvere da soli.” L’analisi del rapporto tra Hegel e Marx, che come vedremo è tutto tranne che un’opposizione nuda e cruda tra i due, avverrà sotto lo sguardo attento di Lucio Battisti, cantore dell’assoluto innamorato di Hegel a tal punto da dedicargli un album, che insieme al paroliere Mogol ha espresso nei suoi testi un’esigenza di spiritualismo “in un mondo che prigioniero è.”

Engels una volta affermò che il materialismo storico non era erede solo dei “socialisti utopisti”, ma anche, e soprattutto, di Kant, Fichte e Hegel. La vita di Marx del resto è segnata in giovane età dall’adesione alla sinistra Hegeliana, e nella teorizzazione del materialismo storico il pensatore di Treviri non rinuncia mai all’impostazione dialettica hegeliana. La dinamica di Tesi, Antitesi e Sintesi è da Marx mantenuta e presupposta, ma “cambiata di segno”. Se per Hegel il momento dell’antitesi era considerato come “negazione” della tesi, nella prospettiva marxiana abbiamo invece il momento dell’astrazione: data una tesi A, ovvero una situazione concreta di stampo socio economico, l’antitesi B non sarà tanto la negazione di A su un piano immanente e materiale (la costruzione di un modello sociale alternativo e contraddittorio) ma l’astrazione dei contenuti economico-strutturali di A che si cristallizzeranno in forme di pensiero (le famose ideologie) che si configureranno per l’appunto come delle astrazioni di A e non delle sue negazioni.

La visione della storia ha però un valore particolarmente importante per capire la cifra del rapporto tra Hegel e Marx: a prima vista abbiamo l’idea hegeliana secondo cui la storia è il “graduale dispiegarsi dello spirito”, dall’altra la concezione materialistica della storia di Marx.

Bisogna fare chiarezza. Per Hegel la storia non è altro che il “progresso della consapevolezza della libertà nel mondo” che arriva al culmine con lo stato prussiano tedesco. Il progresso hegeliano è un progresso spirituale, del quale religioni, filosofie, organizzazioni politiche e forme artistiche non sono altro che momenti-manifestazioni. Anche le azioni dei grandi uomini che sembrano raggiungere i loro fini particolari, sono in realtà governati da “l’astuzia della ragione”, la quale li obbliga a raggiungere i fini dello spirito, causando la loro autonegazione in favore, appunto dello spirito. Dire che l’impostazione Marxiana è opposta ha senso solo nel merito, ma non nel metodo. Il “motore propulsivo della storia” diventa l’economia, la struttura, a partire dalla quale divampa poi la sovrastruttura (religioni, filosofie, organizzazioni politiche e forme artistiche) che di norma sono l’ideologia della classe dominante, le quali legittimano il proprio dominio attraverso un processo di identificazione simbolica, seguendo il paradigma, ancora di stampo hegeliano, secondo cui “l’idea si conserva producendo se stessa.” Il proletariato inoltre si configura come un individuo cosmico-storico, con la differenza che esso è cosciente del suo fine (Zweck), dal momento che i suoi fini rappresentano in toto il naturale svolgimento della struttura economica: il proletariato, essendo quella classe che è danneggiata dal capitalismo, è l’unica classe che ha nella sua emancipazione la possibilità di liberare tutte le altre classi, costruendo finalmente una società senza classi. Per fare ciò, ovvero una società senza classi, il proletariato deve per l’appunto “negarsi come classe”, allo stesso modo in cui gli eroi hegeliani dovevano negarsi e riconoscersi come strumenti dello spirito.

Tornaimo a Battisti: egli ha sicuramente un’impostazione hegeliana, per quel che sappiamo non era neanche un uomo di sinistra, tutt’altro. La vita è spirito, e non nasconde una tendenza all’assoluto, piuttosto che al materiale. Ne “I Giardini di Marzo” afferma infatti “l’universo trova spazio dentro me.” Ne “Il mio canto libero” egli vede come possibile modo di fuga da quel “mondo che prigioniero è “ e che “non ci vuole più” un canto libero, in grado di cogliere “la verità” che “si offre nuda a noi”.

Battisti a differenza di Hegel si sente prigioniero del mondo, ma vede la via d’uscita proprio in quello spirito, in quell’assoluto descritto dal filosofo di Stoccarda. La grandezza di Battisti è stata quella di essere stato amato anche dalla sinistra, dai marxisti, da tutti e questo può essere avvenuto per due motivi. In primo luogo si sente spesso ripetere che l’arte è universale, che non ha colori né bandiere, del resto Salvini ascolta De Andrè… in secondo luogo Battisti individua nell’assoluto un luogo di fuga dal mondo e lo colloca in un qualcosa di sovrasensibile, che lui da poeta quale è non ci definisce, Montale avrebbe detto “non chiederci la parola”. Ma, cosa ha di diverso Battisti, che pone fine e salvezza nell’assoluto, in un “anelito d’amore”, rispetto a Platone, Gesù Cristo o Hegel? A volte tradire Marx per ascoltare Battsiti deve essere fatto, se non perché, nella sua fase giovanile, probabilmente, l’avrebbe fatto anche il nostro Karl.

 

Giuseppe De Ruvo

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