Depressione: in Italia solo il 17% dei pazienti riceve le cure adatte

Salute Mentale nel Terzo Millennio Obiettivo Guarigione: Ricerca, Innovazione, Cambiamenti e Limiti”: è il 48° congresso nazionale della Società Italiana di Psichiatria (SIP) attualmente in corso al Lingotto di Torino. (Il programma scientifico del congresso è disponibile qui).

I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità rispetto al “Treatment gap” nella depressione maggiore sono allarmanti: nei Paesi ad alto reddito solo il 23% dei pazienti riceve le cure necessarie.
Per “treatment gap” si intende il divario esistente tra ciò che si potrebbe fare per un paziente e ciò che viene effettivamente fatto. In particolare, il treatment gap riferito alla salute mentale è un problema pubblico non indifferente: molte persone affette da problemi psichiatrici trascurano la propria condizione sebbene dei trattamenti siano già disponibili.
In Italia la situazione è ancora più drammatica: solo il 17% dei pazienti depressi riceve le cure adeguate. Tale dato è dovuto essenzialmente a due motivi: la disinformazione e lo stigma. Il 3% della popolazione italiana soffre di Depressione Maggiore e gran parte di queste persone non percepisce il proprio disagio come una patologia da sottoporre a trattamento. Ciò è anche dovuto al fatto che la depressione sia spesso “mascherata”: il paziente depresso può infatti manifestare il proprio stato in forma prevalentemente somatica e quindi considerare il proprio malessere come un problema essenzialmente fisico.
I disturbi depressivi hanno un’alta comorbidità con patologie di diverso tipo, sono cioè coesistenti, accessori ad altre malattie come ad esempio infarti, ictus, diabete. Non solo queste patologie aumentano la possibilità di episodi depressivi, ma la depressione stessa diventa fattore di rischio per lo sviluppo delle stesse malattie.
La richiesta della SIP alle Istituzioni è quindi quella di avviare una campagna nazionale per la depressione e le malattie mentali. Al fine di proporre una campagna sanitaria è efficace, è necessario evidenziare i motivi che spingono i pazienti depressi a non domandare aiuto.

Depressione e stigma: ecco perché il paziente non chiede aiuto

Alcune ricerche (come ad esempio lo studio di Barney, Griffiths e Christensen, 2006) hanno evidenziato come le persone siano riluttanti a cercare un aiuto professionale per la depressione, e siano soprattutto diffidenti rispetto ai professionisti della salute mentale (psicologi, psicoterapeuti e psichiatri). Nello stesso studio sovra citato è emerso come molte persone riferiscano di sentirsi in imbarazzo al pensiero di chiedere aiuto a questi specialisti, ritenendo che essi possano rispondere in modo negativo alle richieste. Inoltre, è emerso il timore del possibile giudizio negativo che le persone attorno a loro, come familiari e amici, potrebbero esprimere.Il problema evidenziato dagli psichiatri potrebbe quindi essere spiegato dall’impatto di un doppio stigma rispetto alla malattia mentale: un auto-stigma (self-stigma) che riguarda il paziente stesso, la sua difficoltà a definirsi “depresso” e il fatto che esso decida quindi di non cercare aiuto e lo stigma percepito (perceived-stigma) dovuto alla paura delle possibili reazioni e risposte negative degli altri.

Per stigma la psicologia sociale intende il marchio, l’etichetta, che attribuendo una connotazione negativa a un membro (o ad un gruppo) della comunità, lo declassa ad un livello inferiore. Esso porta  porta all’alienazione di particolari categorie di individui e alla loro discriminazione.

È inaccettabile che l’imbarazzo e le false aspettative e credenze rispetto ad una possibile reazione negativa di chi si ha di fronte pregiudichino la possibilità del paziente di rivolgersi a figure professionali in grado di aiutarlo. Secondo i risultati della ricerca gli interventi dovrebbero concentrarsi sulla riduzione al minimo di queste negative da parte degli altri, ma anche di se stessi, e dovrebbero rivolgersi alle persone più giovani.
È quello che ha cercato di fare la campagna nazionale svizzeraCome stai?”, iniziata nel 2013, che attraverso poster e brochure non solo ha informato rispetto a diverse malattie mentali, ma ha anche cercato di promuovere il dialogo sul tema cercando di incorniciarlo nel frame della quotidianità piuttosto che in quello dell’a-normalità.

Lo stigma è prima di tutto nell’occhio di chi guarda. Cercare di partire da noi stessi, modificando le nostre false credenze sul tema della salute mentale è il primo passo che possiamo fare nel nostro piccolo (quante volte hai dato del “pazzo” a qualcuno e ne hai avuto paura?). Eliminare questo filtro negativo che mina al benessere individuale rimane una delle sfide più grandi che la comunità scientifica si augura di vincere.

Susanna Morlino

 

 

 

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