Clonazione dei Prigioni di Michelangelo: arte e tecnica, un rapporto complesso

Il binomio arte-tecnica è il più delle volte considerato come oppositivo: un duopolio che genera due fronti che difficilmente si incontreranno. Eppure, la notizia giunta dal Le Figaro, riguardo la clonazione dei capolavori di Michelangelo, sembra indicarci la direzione opposta: la tecnica si pone a servizio dell’arte e l’arte diventa un’ulteriore prova della potenza della tecnica. L’una si serve dell’altra, e viceversa, per affermare la propria forza.

I Prigioni: breve storia del complesso di opere

A Michelangelo venne commissionato il progetto di circa venti statue di schiavi per ornare la tomba di Giulio II. Purtroppo questi capolavori vennero esclusi dagli ornamenti tombali nell’ultima stesura del progetto del 1542. La maggior parte delle statue previste, a cui l’artista aveva dedicato più di vent’anni di lavoro, rimasero incompiute. Gli unici due Prigioni terminati e chiamati Schiavo morente e Schiavo ribelle furono scolpiti a Roma. Vennero donati da Michelangelo a Roberto Strozzi e, quando il nobile venne esiliato a Lione a causa della sua opposizione a Cosimo I de’ Medici, portò con sé le due statue. I due Schiavi in seguito alla Rivoluzione Francese passarono al Museo Del Louvre. 

La funzione estetica iniziale delle statue era quella di creare  movimento attorno al solido impianto marmoreo della tomba, per questo motivo sono tutti rappresentati in posizioni dinamiche e diverse tra loro. Lo Schiavo morente è giovane e bellissimo e apparentemente immerso in un profondo, e probabilmente eterno, sonno. Il corpo dello Schiavo ribelle sembra essere, invece, coinvolto in una violenta battaglia. Il significato iconografico non è del tutto chiaro ed è ancor avvolto da un’aura misteriosa: forse le statue simboleggiano le provincie dominate dal pontefice, oppure giocano qualche ruolo nel suo trionfo eterno, oppure ancora sono legate alla tematica del dualismo anima-corpo platonico, molto caro allo scultore.

Tecnica ed arte: una la degenerazione dell’altra

Il rapporto che intercorre tra arte e tecnica è stato analizzato da Heidegger ne La questione della tecnica del 1953. La problematiciità del testo emerge già dalla prefazione: l’obiettivo del filosofo è quello di indagare criticamente la tecnica per comprenderne il Tiesti, ossia l’essenza. Egli parte dall’indagarne la definizione: giunge alla considerazione della non veridicità della definizione antropologico strumentale, la tecnica, infatti, non è solo un mezzo per raggiungere determinati fini, ma è soprattutto un modo del disvelamento. Per gli antichi la techne era parte integrante della poiesis che comprende tutte le attività del fare, come la produzione artigianale ed artistica. Per questo, tecnica ed arte, sono considerate come concorrenti alla formazione dell’episteme: la conoscenza.

Il cambiamento nella considerazione di arte e tecnica avviene con l’avvento della filosofia di Aristotele: egli considera la poiesis della tecnica diversa da quella artistica poichè del tutto artificiale: produce qualcosa che in natura non esiste. La tecnica produttiva è degenerata nel tempo: nell’epoca moderna la sua funzione non è più quella di produrre ma bensì quella di provocare: l’uomo percepisce la natura come fondo sfruttabile e se ne approfitta. Ciò di cui però il genere umano non è del tutto consapevole è il fatto che questo atteggiamento non è una sua scelta. Spieghiamo meglio: Heiddeger distingue le varie epoche storiche in base al modo in cui la verità (Aleteia) si manifesta in esse. Ciò implica che l’uomo non è l’artefice del disvelamento ma solo un suo tramite: il destino (Geschick) fa sì che gli uomini siano portati a sperimentare il mondo in un determinato modo. L’errore che abbiamo commesso, dunque, non è tanto il considerare la natura come oggetto di imposizione, ma l’aver pensato di essere gli artefici di questo modo di pensare, siamo convinti di averlo deciso noi e invece non è cosi. Questo è per Heidegger IL pericolo della nostra epoca: l’illusione di considerare noi stessi come signori e padroni della tecnica, tutto diventa fondo, persino il nostro prossimo e ci limitiamo ad un’esistenza che non è degna di essere chiamata tale, è mera sussistenza.

Martin Heidegger

Ma, interviene Heidegger, citando il poeta Holderlin:

Là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva.

L’uomo deve divenire consapevole del proprio ruolo come mezzo del disvelamento, in un rapporto di traspropriazione con la verità: essa si realizza attraverso il genere umano e viceversa. Ciò provocherà, secondo l’auspicio del filosofo, un ripensamento dello stare al mondo e l’uomo imparerà ad abitarlo poeticamente. La techne riprenderà il suo significato originario di produzione del vero nel bello. L’opera sul significato della tecnica si conclude con un inno all’arte e al poeta, indicato come colui che accetta la poesia all’altezza della sua essenza. Nel pericolo dell’era della tecnica l’uomo può ritrovare la sua dignità come pastore dell’essere e custode della verità. Essere uomini significa essere docili e ricettivi rispetto alla potenza e alla difesa della verità.

Clonazione artistica: rischio o opportunità?

Il lavoro degli scienziati del Louvre costituisce senza dubbio una grande opportunità per la divulgazione artistica e culturale: il pubblico con possibilità di fruizione crescerà in modo esponenziale e questo è senza dubbio un enorme vantaggio. L’unico problema potrebbe essere la perdita di valore, agli occhi del grande pubblico, delle opere originali, ma è un rischio molto lontano. Copie di opere d’arte sono diffuse in tutto il mondo da secoli, inoltre, la tecnologia digitalizzata è una campionatura, perciò il nuovo prodotto non potrà mai essere un gemello dell’originale e porterà sempre con sè qualche imperfezione.

La nostra epoca, secondo i tratti tracciati da Heidegger, potrebbe dunque essere definita e caratterizzata dalla collaborazione tra arte e tecnica. La tecnica difende l’arte, ormai troppo spesso dimenticata e l’arte, dal canto suo, oltre al suo carattere originario avrà un valore aggiunto: sarà eco e prova della grandezza della tecnica, che, altro non è che parte della sua prole.

Maria Letizia Morotti